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Un giorno a Roma

Un giorno a Roma

Roma è un efficace pretesto nella pellicola di Marco Cucurnia per raccontare stralci di vita di un eterogeneo mix di persone. Roma viene mostrata di sfuggita per lasciare in primo piano storie frammentate di uomini e donne. Potremmo dire facendo un piccolo sconfinamento in ambito teatrale, che attenendosi con fedeltà a due regole aristoteliche quali l’unità di tempo (le vicende si consumano nell’arco di ventiquattro ore) e luogo (Roma e dintorni), il regista si concede invece liceità di sbizzarrirsi in un intreccio di azioni che talvolta hanno fra loro dei punti di contatto e talaltra viaggiano su binari completamente distinti. Non è importante scoprire vita, morte e miracoli dei personaggi che appaiono sullo schermo: ciò che conta è semplicemente entrare in contatto con alcuni momenti del loro vissuto e soprattutto prendere coscienza di quell’universo brulicante di esistenze l’una diversa dall’altra che in questo caso è Roma ma che potrebbe benissimo essere Milano piuttosto che un’altra metropoli.

Il film rispecchia con coerenza lo spirito della stampa free press da cui trae ispirazione per lo stesso titolo: offre immagini e dialoghi che si commentano da soli. La prospettiva del regista vuole essere oggettiva e distaccata quasi quanto lo spirito delle notizie di cronaca che si leggono sui quotidiani ma anche negli spazi concisi dei giornali gratuiti come SoloMetro. La pellicola non manca di regalare qualche momento da vero protagonista anche a quest’ultimo, con il contributo di una voce fuori campo che riesce a far vivere il giornale di vita propria, a farlo animare: l’operazione è probabilmente finalizzata a ricordarci come i fatti una volta trasformati in notizie inizino a camminare con le proprie gambe e a raccontare l’accaduto non senza un’interpretazione. E’ questo il paradosso della cronaca: dovrebbe essere fedele al vero, un resoconto di dati oggettivi, ma basta poco, la scelta di un aggettivo così come l’ordine sintattico con cui una frase viene costruita, per imprimere anche a poche righe un significato preciso e talvolta completamente differente.

Per completare il quadro, Cucurnia dosa bene comicità, ironia e drammaticità, realizzando una miscela agrodolce che invita a riflettere sulle casualità, sulle coincidenze, sulle combinazioni di quel misterioso gioco che è l’esistenza nel suo divenire quotidiano fatto di continue scelte a zigzag. SoloMetro è girato in interni e in esterni, con scene diurne e notturne, per condensare nel breve arco di una giornata la maggiore varietà possibile di situazioni. Venendo agli attori, Michele Placido è molto abile nell’incarnare un personaggio in grado di farsi autenticamente detestare, Eleonora Giorgi, pur meno presente assolve bene il suo ruolo, Anna Valle e Pietro Sermonti ricoprono le parti più interessanti a livello di approfondimento psicologico. Non è un caso infatti se sono i loro personaggi quelli maggiormente carichi di drammaticità. La Valle ha acquisito incisività nella recitazione e si trova ben assortita con un Sermonti nei panni di un giovane intellettualmente più complesso ma psicologicamente più fragile.

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