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Galeotto fu il diario e chi lo scrisse

Del caso della professoressa americana che andò a letto con un suo giovanissimo studente, e di cui rimase incinta, è rimasto un vago ricordo. Era il lontano 1997. Ai tempi, sul fatto, scrissero tutti i giornali, furono organizzati salotti televisivi e intervistati psicologi. Tutti ne parlarono. In america uscì addirittura uno sceneggiato tv sulla vicenda dal titolo All American Girl.

Sembrava abbastanza, invece è proprio a quel fatto (del resto non unico nel suo genere) che si è ispirata la scrittrice Zoe Heller per il suo secondo libro La donna dello scandalo.
La storia è sostanzialmente la stessa, ma in questo caso complicata dalla presenza di un’altra donna, Barbara Covett, anziana zitella e collega di Sheba, la protagonista. Barbara prova un interesse particolare nei confronti della nuova insegnate, ma dissimula i suoi sentimenti, che esprime con sincerità solo nella solitudine della sua stanza, scrivendoli su un diario. E’ proprio attraverso questo diario che il lettore viene messo a conoscenza dei fatti. Heller è attenta ai dettagli, descrive ogni azione con dovizia di particolari. Si diletta con metafore basate sul mondo della natura, non ha fretta di svelare lo scandalo. Tiene in mano una matassa e sa esattamente a cosa corrisponde ogni singolo filo. Con meticolosità dispiega la trama così che vengano alla luce anche i punti più oscuri.
Eppure, è proprio quando tutti i nodi sono venuti al pettine, quando il segreto è stato gridato al mondo e non c’è più nulla da nascondere, che risulta chiaro che manca qualcosa. L’autrice racconta gli inganni e gli stratagemmi che i protagonisti usano per raggiungere i propri scopi, ma non riesce ad andare oltre la vicenda. Racconta i fatti, ma non si preoccupa dei sentimenti dei suoi personaggi, dei pensieri e delle motivazioni che li hanno spinti verso quelle scelte: di questa complessa e intrecciata storia di amori e sofferenze non resta che un indiscreto pettegolezzo.

Non molto meglio ha fatto il regista Richard Eyre. La scelta vincente è stata quella di affidare il ruolo di Barbara a un’impeccabile Judi Dench e mantenere la visione soggettiva propria del diario grazie all’utilizzo della voce fuori campo, così da poter sfruttare appieno le capacità dell’attrice. Per il resto il film comincia in modo interessante ma rovina precipitosamente verso la disfatta. Non rispetta i tempi, accelera sul finale, ha fretta di mostrare il suo scandalo. E’ sterile, non aggiunge nulla, non stupisce, non fa pensare. Scarseggiano i momenti di pathos, uno tra i pochi è rappresentato da una scena [img4]molto rapida in cui Sheba, sempre diafana e aggraziata, si trucca e si veste da puttana prima di scoprire la verità leggendo il fatidico diario, come a significare la necessità di una metamorfosi di se stessa per poter comprendere la realtà. Trovata accattivante, ma si tratta di una mosca bianca.
Anche la scelta della colonna sonora lascia interdetti, si ripetono musiche assillanti, tipiche dei film dell’orrore e sempre a questo genere strizza l’occhio il finale: il male non è stato vinto come si credeva, anzi, è pronto a riprovarci.

La professoressa americana è invecchiata, il giovanissimo studente ormai è cresciuto e pare che a breve si sposeranno. C’è già la realtà a raccontare le storie più incredibili.
Se non c’è nulla da aggiungere sarebbe meglio non dire niente.

Diario di uno scandalo, romanzo di Zoe Heller, 1997
Diario di uno scandalo, regia di Richard Eyre, 2006

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