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Un mare di parole

Un mare di parole

La prima reazione, quando nella cassetta delle lettere di Hideout ha fatto la sua comparsa il dvd di Via Varsavia, è stato un sottile formicolio alla base del collo. Tipo quello che avverte Spider Man della presenza di un supernemico alle sue spalle.
Insomma, si tratta di un film autoprodotto, a budget zero, realizzato da un giovane autore fiorentino che si è arrangiato da sé, occupandosi praticamente dell’intera produzione, del montaggio, del suono e della sceneggiatura, avvalendosi della partecipazione di alcuni artisti toscani di successo, come Alessandro Benvenuti, Marco Masini, Novello Novelli, Barbara Enrichi e Carlo Monni.
Premesse di questo genere non potevano che far temere uno spaventevole “effetto Pieraccioni”, riportando alla luce traumi adolescenziali mai sopiti ed eventi del nostro passato che oggi preferiremmo nascondere. E invece no. E invece bisogna fare i complimenti e togliersi tanto di cappello di fronte a questo “povero Dogville italiano poeticomico” (come lo definisce lo stesso regista) tanto spiazzante quanto coraggioso.

Emiliano Cribari, infatti, non prova a fare il gigione cercando scorciatoie televisive e soluzioni facili come ci si aspetterebbe da un cineasta emergente di neanche trent’anni. No, lui va dritto per la sua strada, che è quella più impervia di tutte, quella che passa dai luoghi più vituperati dell’Italia velinara e pallonara: il palco di un teatro e il diario di un poeta.
Ci racconta una storia spigolosa, e lo fa nel modo più complesso, intrecciando la messa in scena teatrale con scampoli di vita vissuta, in un fitto gioco di rimandi, allusioni e cortocircuiti che si rispecchia negli innumerevoli movimenti di macchina montati con una perizia tecnica che compensa più che abbondantemente i limiti di budget.
L’importante, d’altra parte, è che allo spettatore arrivi la poesia. Poesia recitata, poesia evocata, poesia svelata e talvolta ironicamente sbeffeggiata. Poesia infilata in ogni spazio filmico, anche oltre il limite della saturazione. Poesia incarnata in Erika Renai, impeccabile protagonista capace di “tenere il palco” in modo convincente anche attraverso la mediazione dello schermo e del montaggio.

Certo, di Via Varsavia non si può solo dire bene. E non sarebbe neanche giusto farlo.
Cribari è giovanissimo, ed è solo al secondo lungometraggio di quella che potrebbe essere una carriera luminosa, stando al talento che questo film lascia intravedere. È quindi normale che qualcosa da calibrare ci sia ancora. Nella fattispecie, una certa tendenza a “strafare”, a voler dire troppo, o forse a voler rimarcare troppo quello che si è già detto. L’esuberanza dell’autore-regista si traduce in un diluvio di parole che talvolta annacqua un po’ le battute migliori. Un difetto probabilmente reso più evidente dal tema stesso del film, la poesia, un soggetto che per essere assimilato richiede tempi calcolati al millesimo e qualche silenzio strategico nel quale le liriche possano adagiarsi.
Alle luce di queste considerazioni, Via Varsavia risulta essere un film che si fa più rispettare che amare. Una prova convincente ma non risolutiva.
Poco male comunque. Come si è già detto, Cribari ha davanti a sé una lunga strada. E da oggi la casella delle lettere di Hideout aspetta le sue nuove opere con trepidazione e senza pregiudizi.

Curiosità
Via Varsavia è il capitolo conclusivo di quella che Emiliano Cribari definisce la sua “trilogia della parola”, della quale fanno parte anche il mediometraggio La ricreazione e il lungometraggio Tuttotorna, entrambi del 2005, distribuiti da Cecchi Gori Home Video.

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