hideout

cultura dell'immagine e della parola

Nip/Tuck – Terza serie

Sean McNamara e Christian Troy, medici, soci di uno studio di chirurgia estetica di Miami. Sono famosi, ricchi, belli. Sono i protagonisti. Creatori di corpi e facce, si presentano sempre ai clienti insieme, pronunciando l’immancabile domanda di rito: «Che cosa non le piace di sé?».

Guardandoli si ha l’impressione di ritrovare Beverly ed Elliot, Gli inseparabili di David Cronenberg, una delle principali fonti d’ispirazione di questo serial. Pur non essendo fratelli gemelli, Sean e Christian sono come loro profondamente legati l’uno all’altro. Sono confidenti, amici, quasi fratelli, tanto diversi ma in fondo tanto simili. L’uno, Christian, amante del buon vivere. Dei due è la macchietta del quarantenne omofobico, che ha paura di invecchiare e di ingrassare. È il Dioniso che vive la vita alla giornata cercando di assecondare ogni singolo desiderio. L’altro, Sean, è invece il quarantenne apollineo che si guarda indietro malinconico, introverso, perché avrebbe voluto lavorare per cause più meritevoli che non rifare nasi o sederi. Dunque due facce della stessa medaglia, due caratteri complementari che non riescono a fare a meno l’uno dell’altro.

Ryan Murphy, creatore della serie, fa numerosi riferimenti anche all’opera di Peter Greenaway, i cui temi classici sono la luce, lo sguardo, l’arte e il sesso. Sono moltissime le sperimentazioni visive nelle quali ci si imbatte nel corso le puntate. Illuminazioni particolari, un raro splendore formale. Ogni immagine inquadrata è uno spaccato del tipico ambiente di salotto vip. Ogni stanza è perfettamente arredata. Completamente assenti le scene in esterno, abbondano le inquadrature di ambienti popolati da poltrone di pelle, i ripiani laccati, sculture di art brut, luci alogene, mentre nell’aria si diffonde musica soft chill-out con qualche passaggio al genere anni settanta / ottanta, sempre però impeccabile e in tono con il tenore della vicenda narrata.
Tutto è studiato nei minimi particolari: le uniformi dei due chirurghi sono perfettamente intonate all’arredamento e naturalmente di un colore diverso dalle uniformi ospedaliere; le camicie di Christian sempre ben abbinate alla giacca e, perché no?, alla macchina. Lo stereo che viene puntualmente avviato ad un tocco dell’anestesista prima dell’inizio di ogni intervento chirurgico. Regna la sensualità.

Ma dietro al lusso fa capolino la luce accecante del neon, il tono surreale e violento che stride con tanta voluttà. Interviene il corpo amputato che silenziosamente si presenta a noi e che tanto ci ricorda le sperimentazioni dei gemelli Oliver e Oswald de Lo Zoo di Venere di Greenaway. Ci vengono presentate le vittime di violenza e gli stessi violentatori, come il trafficante di eroina (nella prima serie) che per fare viaggiare la droga, la impianta nel seno di fotomodelle disperate, o il serial killer (nella seconda serie) che violenta e sfigura le sue vittime con lo scopo di dimostrare che la bellezza è la rovina del mondo.
Il pesante turpiloquio e le scene esplicite non fanno che aumentare l’effetto drammatico delle vicende e far crollare inesorabilmente tutto quel mondo patinato che lo spettatore si era costruito nella mente grazie alle prime immagini dell’episodio. Dunque il climax è raggiunto attraverso l’ostensione di amputazioni, bendaggi che spesso si confondono con immagini di sesso, o allusioni a perversioni inimmaginabili, come la paziente che si fa ricostruire il capezzolo divorato dal cane, perché indotto a cibarsene dal burro di arachidi spalmato sopra (terza serie).

La terza serie, appunto, sembra seguire il filone tracciato dalle prime due in quanto a violenza ed estetica surreale, anche se [img4]tendenzialmente rischia di superare il “lontanamente credibile”. Gli intrighi già nella seconda serie erano diventati un po’ troppo macchinosi e incredibili: la life coach Ava che si scopre essere stata uomo, o il serial killer che si rivela essere privo di pene e fratello dell’agguerrita investigatrice. Si tratta sicuramente di rivelazioni un po’ troppo forzate, lo spettatore comincia a non volerci più credere. Dunque sorride, sicuramente di un sorriso un po’ isterico, perché Nip/Tuck rimane l’unico telefilm in grado di scuotere nel profondo, mettendoci di fronte ad una amoralità a tutto tondo mascherata dal perbenismo.
Una missione abbastanza importante da concedere un’altra chance al serial, con la speranza che le macchinazioni tornino ad essere ben congegnate come un tempo.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»