L’urgenza di una strada da ripercorrere
Il tempo è uno strumento di cui la gente dovrebbe servirsi per imparare a cambiare. Il freddo della neve che copre la verità (come dice il regista Wajda intervistato dallo stesso Ferrario) è un finto mantello che non basta a nascondere l’orrore che aggira nell’aria.
Partendo da Auschwitz il regista Davide Ferrario ripercorre l’odissea dell’ Ulisse – Primo Levi scampato al genocidio e diretto nuovamente a casa. Furono seimila i chilometri che divisero lo scrittore piemontese dall’atteso ritorno in patria, nella sua Torino dove comunque nulla sarebbe mai potuto essere come prima.
Guardiamo negli occhi Primo Levi per capire che il viaggio che intraprese, in una tregua tanto agognata quanto effimera, è una spedizione che non ha un verso, non una direzione, solo l’irrequietezza di un’anima che si perde tra steppe e città, nell’attesa di una reincarnazione, di un’origine domestica che si desidera e allo stesso tempo non si comprende più.
Il meraviglioso documentario comincia con le immagini di una Ground Zero dissestata e che assomiglia, nella sua immagine sgranata, alla cavità di un lager esposto alla superficie di un sole spento. Non è un inizio casuale, non è un inizio fuorviante, è la fine del viaggio di Ferrario, che ripercorre una geografia tutta europea per approdare a un senso più universale della Storia che non ha mappe divisorie.
Guardando il filo spinato – leit motiv di Auschwitz, si comprende che i rottami di New York sono un continuum che la prosa di Levi intuisce nelle sue parole piene di amarezza, nella sua strada sbilenca, dove la meta continua a cambiare fino a un arrivo che ancora sa di veleno.
Ferrario procede attraverso Polonia, Ucraina, Bielorussia, Romania, paesi dell’Est che hanno cambiato tutto per non cambiare nulla, in un immobilismo pregno di ideologia che supera frontiere e dogane per giungere a spettri umani che provano a sorridere e a distorsioni paesaggistiche (Cernobyl o Nowa Huta).
Il mutamento è negativo e la tregua è una sofferente agonia che prolunga l’inaudita maledizione che l’uomo ha nei suoi passi, qualsiasi sia il suo viaggio. La meta è Torino, dove, se si è attenti, le trincee della guerra sono ancora visibili.
Ma le parole di Levi hanno un raggio d’azione che la strada di Ferrario non può colmare con la sua macchina da presa. L’obiettivo del cinema ha solo il potere di ricordare e mettere in risalto qualcosa che la memoria da sola non è sufficiente a preservare.
Il cinema scava nella neve che copre la verità e prova ad illuminare. Ma non illudetevi, non ci sono bagliori alla fine della strada. Solo ombre di un passato che neanche questo presente seppellisce. Considerate se questo è un uomo / Che lavora nel fango / Che non conosce pace / Che lotta per un pezzo di pane / Che muore per un sì o per un no. Oggi, più che mai.
A cura di Giuseppe Carrieri
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