“Una” delle verità
Da alcuni anni Al Gore, l’ex candidato alla presidenza degli Usa (come lui stesso ama definirsi), si è gettato in trincea per una personale lotta contro l’inquinamento globale e il surriscaldamento dell’atmosfera terreste. La terra si sta rapidamente riscaldando, provocando dei cambiamenti che rischiano di portare a catastrofi incontrollabili. Difficile intervenire per porre un freno a tutto ciò, l’unica speranza è quella di smuovere le coscienze della collettività. Così, Al Gore costruisce un progetto semplice ma efficace, mettendosi in gioco personalmente: porta in giro come un carrozzone ambulante un piccolo show ecologista da presentare sotto forma di conferenza in luoghi pubblici, università, centri di aggregazione. Come la sua lunga carriera politica gli ha insegnato, conosce l’importanza del contatto diretto con il popolo (votanti e consumatori) ed è consapevole di quanto sia fondamentale per creare un vero e proprio movimento di opinione. Grazie al regista Davis Guggenheim, Al Gore ha realizza il sogno di una comunicazione personale/globale con un documentario tanto semplice quanto innovativo per l’approccio metodologico utilizzato. Guggenheim si limita a riprendere un’ipotetica conferenza, una qualsiasi fra le centinaia tenute da Gore, aggiungendogli un plus tecnologico grazie al montaggio di materiale di repertorio sulle sue parole e di grafiche a supporto delle tesi narrate.
Al Gore dichiara guerra a quelle sovrastrutture che in nome della ricchezza scelgono, senza lungimiranza, di disinteressarsi del futuro del pianeta e utilizza le sottili armi della retorica per portare a segno i suoi affondi. Moderno Davide contro l’enorme gigante Golia del mercato globalizzato, Gore dimostra capacità oratorie degne di Cicerone e una competenza mediatica di grande intelligenza. Impara da Micheal Moore quanto sia importante mettere in gioco se stesso e la propria credibilità, meglio ancora il proprio passato e i propri affetti. In un documentario, all’interno del documentario, parla si sé e della tragica esperienza che gli ha fatto rischiare di perdere il proprio figlio, ma al contempo lo ha reso consapevole del fatto che, di questo passo, non sia possibile garantire un futuro alle prossime generazioni. Gore parla al popolo con parole chiare, semplici, cita amici scienziati che gli avrebbero detto quanto è grave la situazione o dai quali avrebbe ricevuto allarmanti dati, ma non cita mai le fonti o le istituzioni che avrebbero realizzato tali studi. Confronta i suoi dati con le opinioni degli “scettici”, di quella categoria mitologica di esseri “cattivi” che puntano solo al profitto, ma a cui non viene dato alcun volto o nome (tranne che George W. Bush, reo di non aver ratificato i protocolli di Kyoto, oltre che nemico personale di Gore).
Al Gore sa bene che, su un tema del genere, un documentario tradizionale avrebbe bisogno di molte, troppe conferme dei dati proposti. Giocando la carta della sua credibilità, si trasforma in un portavoce delle posizioni ecologiste, buone a prescindere, perché realtà alla portata di tutti. Impara così da Micheal Moore a lavorare con le invettive all’interno di un pamphlet, a intervallare momenti drammatici con uscite sarcastiche abbastanza da fare sorridere il pubblico, a imitare i nostrani Paolini e Beppe Grillo nell’urlare a pieni polmoni la propria indignazione, per esortare la sua audience a “fare qualcosa!”, ma, implicitamente, in questo modo dice ai suoi detrattori: “dite quello che volete contro le mie tesi; potete farle passare per non scientifiche, potete accusarmi di fare una campagna strumentale solo per favorire la mia immagine, ma quello che vi dico è inattaccabile”, perché si tratta di una verità imprescindibile. Come negare che se ciascun individuo scegliesse consapevolmente di utilizzare forme di energia pulite, di riciclaggio, di risparmio energetico, allora si potrebbe ottenere un cambiamento visibile, indipendentemente da quanto sia drammatica la situazione di partenza. Di questo passo però il rischio è che l’incipit del film catastrofico L’alba del giorno dopo si trasformi da fiction a tragica realtà.
A cura di Carlo Prevosti
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