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Lost – Seconda serie

Il lettore Foxiano può stare tranquillo, qui sotto non troverà nessuno spoiler. Il lettore Raizzato può scegliere: o si spoilerizza, o non legge e aspetta gennaio.

In mezzo ai duecentodue episodi di X-Files se ne trova uno diviso in due parti, intitolato Tempus Fugit (Stagione 4, n. 17 – 18), nel quale l’agente Mulder è sulle tracce di un uomo che ammette di avere le prove dell’esistenza degli alieni. L’aspetto curioso dell’episodio, che rappresenta anche l’identità dell’intero serial, è il fatto che Mulder non si arrende mai nella ricerca della verità, nonostante lo scorrere del tempo.
La verità è là fuori, recita il poster appeso sulle pareti del suo ufficio, multiforme, multiangolare, prospettica, ma nessuno conosce i dove. Nemmeno Scully, rigorosa e scientifica riesce a trovare le spiegazioni. Il tempo sfugge anche dai suoi calcoli, dai suoi ragionamenti e dalle sue convinzioni. Perché il tempo blocca, fa ripartire, anticipa, rallenta, scivola via frenetico o si modula su frequenze basse, impalpabili. Il tempo condiziona la vita e di conseguenza la verità.
Volendo condensare in poco spazio la struttura portante della seconda serie di Lost, in onda su Fox alle 21 dal 18 settembre tutti i lunedì, con diverse repliche, si possono individuare tre elementi significativi: il tempo, la verità, gli alieni.

Il tempo. Dopo essere rimbalzati da un flashback all’altro, ci siamo abituati al meccanismo che alterna presente e passato (su internet si può trovare una ricostruzione cronologica di tutti gli eventi accaduti, compresa la data di nascita di qualche personaggio). A prescindere del discorso del clock, relativo alla durata effettiva della storia, in Lost assistiamo a un caso di tempus edax rerum, che tradotto letteralmente significa “il tempo che tutto divora” (meccanismo utilizzato ancora in maniera più evidente da altre serie come 24 e Alias).
Sull’isola le convinzioni sono azzerate e lentamente anche i ricordi prendono una piega insana. Si trasformano in incubi, presagi, ossessioni, angosce. Il tempo fugge perché i ricordi si sbiadiscono, ma non solo. Ora non basta più fermarsi e tornare indietro. Ora bisogna andare avanti, lottare, salvarsi e sperare più di prima. Il tempo si è trasformato in una forma corrosiva, che proprio come una bestia feroce e affamata, ingoia tutto, divorando ogni cosa. Spariscono i ricordi, ma soprattutto, le convinzioni assumono nuovi aspetti. Era Ovidio, nelle Metamorfosi, che parlava di tempus edax rerum, sottolineando come il peso della vecchiaia fosse determinante per i cambiamenti delle persone. È questo stesso tempo, nascosto tra le inquietudini, che modifica i personaggi di Lost e noi spettatori. Avviene una mutazione dei personaggi, in relazione alle proprie visioni, alle paure e ai ricordi.
Il tempo che divora assume una forma precisa: 108 minuti, un’ora e 48 minuti. E gli ingranaggi, le batterie, l’energia, sono sei numeri 4 – 8 – 15 – 16 – 23 – 42. Nessuno conosce il dopo. Nessuno vuole o riesce a conoscere il dopo, e tutto ricomincia. Un sospiro di sollievo, sei più tranquillo, tutto torna come prima, ma sei ancora sull’isola. L’ansia è aumentata, moltiplicata, amplificata. I personaggi credono di compiere la loro missione (spingere dei bottoni, bloccare un sistema, intervenire su un problema) ma si rendono conto che falliscono ogni volta perché nessuno sa quello che sta succedendo. I numeri evitano una catastrofe o la alimentano? A questo punto si deve scegliere. Uomo di fede o uomo di scienza? Sei Mulder o Scully, John o Jack? E ancora una volta Lost ti stupisce. Il suo dna interattivo, che richiede assolutamente un’implicazione dello spettatore e che a sua volta crea delle soggettive cinematografiche, obbliga a prendere una decisione, porta a scegliere quale destino si vuole conoscere. Il rischio o la sicurezza. Quale verità?

Qui entra in gioco il secondo tassello, la verità. Esiste a patto che la si voglia trovare. Non tutti, però, sono pronti ad accettare una verità che si presenta scomoda, rischiosa, nascosta. A quale costo, allora, trovare la verità? Scegliere e interpretare la verità come una missione da compiere e, quindi, scovarla a tutti i costi e preoccuparsi del futuro, oppure pensare esclusivamente alla salvezza, concentrandosi sulle scelte del presente? Le verità sono là fuori. L’isola è un mistero, un’ombra, un rompicapo e al tempo stesso un paradosso. Entra in gioco la fiducia nei propri sensi, sempre messi in discussione (dalla vista all’udito, dal tatto all’olfatto e anche al gusto), nelle proprie capacità e negli altri.

Gli altri, ovvero gli alieni, quelli lontani, diversi, sconosciuti. La seconda serie di Lost mette in evidenza due diversi tipi di alterità: una condivisa, l’altra temuta.
Gli altri sopravvissuti, quelli della coda dell’aereo, finiti dall’altra parte dell’isola, ritrovano le loro origini, cioè il gruppo di Jack, Sawyer e Locke. La fusione dei due gruppi devia gli equilibri del gruppo ma si rivela fondamentale perché l’incontro amplifica e dà senso alla rete di relazioni e di contatti avvenuti prima di salire sull’aereo. L’intreccio, paradossalmente, si complica ma appare sempre più lineare. La vita dell’uomo e fatta di relazioni e incontri e Lost sembra voler sottolineare spesso questo particolare.
Ci sono poi i rapitori di Walt, che sono altri – altri, o meglio, due volte altri. Se i primi fanno semplicemente paura, i secondi terrorrizzano perché non si conoscono. Non c’è un posto dove trovarli. Una voce da scoltare. Un indizio, una traccia, un flashback per lo spettatore. Aumenta, di conseguenza, [img4]il grado di interattività. Si crea un’esperienza sempre più suggestiva, di appagamento e insoddisfazione, di frustrazione, d’attesa e trepidazione. L’occhio dello spettatore in questa seconda serie ricodifica il concetto stesso di Lost, di “perduto”. Non più solo una categoria dell’uomo in ricerca, ma pure dell’uomo che crede, che spera e sopravvive. Nonostante il tempo non riesca a mantenere più le sue potenzialità, le sue coordinate, le sue colonne portanti. Il Lost si schianta con la fede, si interroga sul bene e sul male, affronta la morte e accoglie la vita. E forse, è sempre più vicino a raggiungere la condizione di supereroe che tenta di sconfiggere il tempo. Perché il tempo fugge (e non ritorna) ma il Lost deve tornare. Altrimenti non sarebbe più Lost.

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