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cultura dell'immagine e della parola

Donna in piscina

Donna in piscina

Il successo commerciale de Il sesto senso (The Sixth Sense, 1999) ha portato fortuna a M. Night Shyamalan, tanto da trasformarlo improvvisamente in un autore capace di dare un’impronta assolutamente personale ai propri film. Shyamalan ha rinnovato con genialità un genere che languiva in una triste stasi da diversi anni, la ghost story. Da allora il regista indiano ha giocato coi generi per circuire lo spettatore comune e proporgli temi a cui normalmente non si sottoporrebbe. I suoi titoli infatti dividono profondamente il pubblico tra detrattori e sostenitori. Le sue storie spesso non convincono, lasciano spiazzati, deludono le aspettative di chi si è creato un’idea del film a partire da un trailer fuorviante.

Unbreakable (id., 2000) non era un film di supereroi, ma una riflessione metalinguistica sul fumetto, una transcodifca dalla forma del linguaggio del comic a quella cinematografica. Signs (id., 2002) non era un film di fantascienza, ma una riflessione semiotica sul valore dei segni e del loro significato (compresa la fede di “padre” Mel Gibson). The village (id., 2004) certamente avrà deluso chi si aspettava gli spaventi del un film horror promesso dalle poche immagini scelte per il promozionale. Nel caso di Lady in the water possiamo dire che un segnale c’è stato, a partire dal trailer stesso. Il montaggio ovviamente allude al mistero di una donna estratta da una piscina, con velature marcate viranti al nero e all’orrore, ma il claim finale dichiara che la pellicola è “una storia della buona notte”. Ma come?
Ogni favola o fiaba che si rispetti, per avere un carattere formativo nei confronti del suo pubblico infantile, deve toccare temi spaventosi, per creare la paura e, in seguito, esorcizzarla. Basti solo ricordare come la strega di Hansel e Gretel pratichi il cannibalismo, per capire quanta crudeltà c’è nei racconti del focolare che i nonni leggono ai nipotini. Shyamalan analizza le forme delle fiabe di magia con una precisione degna dello studio sul “fantastico” di Todorov, decostruendo la forma narrativa e applicando a ciascun inquilino del condominio le categorie attanziali di Greimas che fondano la disciplina semiotica della narratologia. Le immagini di Lady in the water sembrano richiamare in forma onirica le pagine dello studio sulla fiaba di magia russa di Vladimir Propp, quasi fosse un film saggio di eijsenstaniana memoria. Da questo punto di vista un capolavoro.

Rivestendo i panni dello spettatore cinematografico, mi chiedo se devo essere laureato in semiotica per poter apprezzare un film. Capisco chi sostiene che questo film non valga il prezzo del biglietto, ma se si conoscono le chiavi di lettura per aprire lo scrigno segreto che contiene il significato di un film, si può scoprire come dentro una brutta scatola si celi uno splendido gioiello.

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