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Non ho l’età per amarti

Non ho l’età per amarti

«Non ho l’età, non ho l’età per amarti / Non ho l’età per uscire sola con te»: Magdalena, quindici anni ancora da compiere, e soprattutto da festeggiare. La comunità messicana che abita il quartiere losangelino di Echo Park sembra mantenere inalterate le tradizioni popolari, tra cui la “quinceañera”, festa che per ogni fanciulla segna il passaggio all’età adulta e che per lo spettatore è uno splendido esempio di kitsch latino-americano: abito rosa, torta con candeline in tono, limousine e corteo di amici e parenti vestiti a festa, tutto rigorosamente immortalato con “filmino” trash da rivedere in compagnia alla prima occasione.

Vincitore del premio come miglior film e del premio del pubblico all’ultima edizione (2006) del Sundance, il film co-diretto da Glatzer e Westmoreland fa pensare soprattutto allo stato di salute del cinema indipendente americano, che sembra zoppicare e appoggiarsi (senza dar troppo nell’occhio) ad un certo benpensare pacificatore. Il film offre diversi spunti narrativi: oltre alla storia centrale di Magdalena, vergine incinta, quella del cugino gay ribelle Carlos, quella dello zio Tomas, che si mantiene vendendo “champurrado” per strada. Il tema sotto cui si unificano le varie trame è quello del rapporto tradizione/innovazione, è la necessità di ampliare il concetto di famiglia, di aprire rituali affermati e condivisi a nuove possibilità di convivenza che tengano conto di sensibilità ed esperienze non convenzionali: un tema attuale, urgente, già trattato in numerose forme e maniere, ma… C’è un “ma”.

Sembra che il cinema indipendente americano non sia più così indipendente, guastato da un buonismo di fondo e dalla mancanza di un’urgenza reale. Molti spunti vengono buttati nel calderone senza essere approfonditi nel corso della pellicola: la questione razziale non fa che una comparsata, il rapporto figli/genitori è poco più che abbozzato, un cliché lo spaccato offerto sul mondo gay. Poco in profondità scende anche la riflessione sull’adolescenza, a dispetto di un personaggio che “vorrebbe ma non può” essere davvero ribelle. Per finire, anche quella particolare religiosità latino-americana che è motrice, nella storia, di determinati comportamenti e situazioni, fa solo da sfondo, affidata a una battuta del padre di Magdalena, devotissimo pastore di chiesa: “È impossibile che una vergine sia incinta”. Una nota di merito per la credibile protagonista Emily Rios.

A proposito di tradizione, il “champurrado” dello zio Tomas è una densa cioccolata calda messicana all’aroma di anice, sopravvissuta all’avvento della grande distribuzione.

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