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Il sipario rosso della passione

Il sipario rosso della passione

Quaranta candele sul cruscotto dell’auto per introdurre il racconto cinematografico di quattro versioni dell’amore: innocente e privo di fisicità, a fisicità limitata, puramente fisico, maturo e disilluso. La prima parte di Sesso e filosofia esalta il talento visivo di Makhmalbaf che, attraverso immagini raffinate e fluttuanti, presenta le quattro amanti nascondendo parte dei loro visi dietro un sipario rosso che si alza per liberare scorrevoli primissimi piani e morbide carrellate su una lunga danza sensuale. I passi sono interrotti dalle donne per brevi dialoghi con il protagonista in un elegante gioco di seduzione ricco di simboli allusivi al piacere fisico. La macchina da presa si posa con voluttà sugli sguardi, sul gesto di assaporare il vino, su una bocca che stringe una rosa e sugli appendiabiti dei camerini rifugio di scarpe, ombrelli e cappellini glamour. Ai toni blu e rossi che dominano la fotografia degli interni si contrappongono i colori autunnali degli esterni in un alternarsi di sogno sospeso e realtà malinconica. La colonna sonora contribuisce alla caratterizzazione dei personaggi: un tango, una melodia azerbagiana e un motivo ritmato dal rintocco di scarpe su un tavolo.

Il tempo immaginario dell’amore
Nella seconda parte del film la bellezza e la sensualità delle immagini cedono alla compiaciuta e cinica verbosità del protagonista minando il ritmo e il fascino della storia. Il protagonista, alter-ego dell’autore, spende il suo tempo su un taxi, simbolo provvisorio per eccellenza, mentre una delle sue donne possiede, a sua volta, quattro amanti in un vortice di frammentazione e moltiplicazione dei rapporti che si risolve in una nostalgica constatazione dell’impossibilità di un sentimento puro nell’età adulta. Intrigante la riflessione dichiaratamente anti-filosofica sulla volubilità e la solitudine dell’amore e la rivalutazione delle passioni brevi e intense “spesso dimenticate dai poeti, troppo concentrati su quelle eterne”. Per il regista iraniano non esiste il realismo ma diversi modi di vedere la verità, tutto è filtrato dalla (sua) immaginazione che tenta di imprigionare in un cronometro gli istanti felici di una storia d’amore.

Curiosità
L’autore ha girato spesso i suoi film fuori dall’Iran a causa della censura o per raccontare paesi dimenticati da Hollywood. Nella cosiddetta “Factory Makhmalbaf” operano diverse persone tra cui la moglie e i tre figli di Mohsen che contribuiscono alla realizzazione dei film grazie alla completa interscambiabilità dei ruoli. Una delle figlie, Samira, dopo essere stata assistente del padre ne Il silenzio (Le silence, 1988), ha esordito nel lungometraggio con La mela (La pomme, 1998), diretto diversi film e ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali tra cui il Gran premio della giuria al Festival di Cannes 2000 per Lavagne (Takhtè Siah).
Makmalbaf durante il regime dello Sciah è stato arrestato per aver partecipato a una manifestazione di protesta e ha passato in prigione sei mesi tra isolamento e torture.
L’episodio del film ambientato sull’aereo è ispirato a un fatto realmente accaduto al regista durante un volo di ritorno dal Festival di Taormina.

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