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Verità postume

Verità postume

Canadese di origini armene nato a Il Cairo 46 anni, Atom Egoyan mette alla prova la sua ispirazione per riadattare in chiave post-noir il romanzo omonimo di Rupert Holmes ambientato tra gli anni cinquanta e settanta. La onnipresente e pluri-soggettiva voce fuori campo e l’uso di un’illuminazione maggiormente contrastata per la parte ambientata negli anni settanta sono elementi che omaggiano e, allo stesso tempo, capovolgono le regole del genere. Come sempre i personaggi di Egoyan compiono un viaggio solitario a ritroso nella propria e altrui memoria alla ricerca di sé, in un sovrapporsi di inganni e verità postume. Il doppio scambio di identità dei personaggi è raccontato attraverso un montaggio frammentato, in una storia in cui solo alla fine sarà possibile trovare un senso. Colin Firth appare insolitamente spaesato in un ruolo forse non suo e Alison Lohman non sembra in grado di trasmettere le sfumature dell’evoluzione psicologica di Karen. Ottimi invece Kevin Bacon e David Hayman nella parte di Reuben, il maggiordomo che come il Wolf di Pulp fiction (id., Quentin Tarantino, 1994) “risolve problemi”.

Messa in scena incantata a scapito della tensione
In False verità la maniacale ossessione di Egoyan per la moltiplicazione della visione attraverso la continua presenza di monitor e video è attenuata. La tv è il mezzo per rivivere il passato, ma è il registratore il vero protagonista della ricerca. Non esiste simmetria nella regia, che procede con morbidi movimenti curvilinei sulle note di musiche ispirate a Hermann, Bernestein ed Ellington. Ricercata la ricostruzione in studio di eleganti scenografie d’epoca e ricca di fascino la fotografia, che declina in azzurro i flashback e in bianco le immagini di morte. La sensualità delle immagini, che sembrano come sospese, crea un’atmosfera incantata che non riesce però a intrigare, relegando la seduzione alla sola forma. Solo le sequenze “lynchiane” in cui appare Kristin Adams nella parte di un’inquietante Alice nel paese delle meraviglie che canta tra i bambini e “duetta” con Karen, permettono di penetrare il lato oscuro del mondo dello spettacolo. La tensione narrativa risente di una messa in scena brillante ma troppo distaccata e l’insistenza quasi programmatica nell’evitare ogni sensazionalismo impedisce di catturare fino in fondo uno spettatore ormai assuefatto a ogni genere di tematiche scandalistiche.

Curiosità
Il nome Atom è stato scelto dalla famiglia Egoyan per “celebrare” l’avvento dell’energia atomica in Egitto. Egoyan ha dichiarato che i registi che l’hanno maggiormente influenzato sono Bergman, Resnais e Bunuel.

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