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Un male liberatorio

Un male liberatorio

Un libricino che ti fila via liscio in un pomeriggio assolato. Ma poi ti accorgi che non fila poi tanto liscio. Che a ogni finale di racconto inserisce un pezzettino di coscienza nel tuo corpo, anzi ti marchia – che è più doloroso – e alla fine del libro ti rendi conto che non è del tutto terminato. Che qualcosa ti è rimasto dentro come un parassita. Parassiti, appunto. Otto racconti riuniti sotto una copertina accattivante e quanto mai significativa. «1979», «Bomber», «Fusi, «Lo strangolino», «Macilento», «Il piccolo Lenin», «Il re del playground» e «Parassiti».

Sotto il cielo di una Roma messa a nudo si spazia dall’ipnosi ossessiva, cieca e indifferente, di una domenica di pallone, al fervore intellettuale delle rivolte studentesche e i ricordi brucianti di un passato mitizzato, fino a storie personalissime: di padri e di figli, dei contrasti e delle sconfitte, di uomini soli, di coppie in crisi e di amore. Di amore e odio. Veniamo trascinati per i meandri in cui si divincola e si libera il dolore dell’uomo. In quell’antro buio dove tentiamo di tenerlo a bada, ma dal quale se ne esce con maggiore ferocia.

Frammenti della società italiana fanno da sfondo alle storie che nascono all’interno dei personaggi, e le cose che stanno intorno, le cose che capitano tutti i giorni, illuminano il testo di bagliori epifanici, mettendo in calce le memorie private del lettore. Calce viva. Ma in fin dei conti il protagonista sembra essere sempre la stessa persona. Un ragazzo, un uomo che prova ad affrontare se stesso, a volte allontanandosi, altre cercando di dare un senso alle sue sofferenze, alle ansie, ai cancri, agli aborti. Sbattendo contro la durezza della realtà in tutte le sue forme: la nostalgia, la dipendenza, la sopraffazione, il fallimento, la morte. La vita. Quest’uomo è anche lo scrittore, il paroliere, che traccia la sua biografia sbilenca attraverso messaggi amorosi via SMS e didascalie per ciechi del telefilm L’ispettore Derrick, aspettando di scrivere il Grande Romanzo. Senza riuscirci, perché il mondo esterno scalpita, rumoreggia, spinge, toglie il fiato e le forze, allora è meglio l’arresa di uno stanzino male illuminato. Clinomania, la patologia che porta chi ne è affetto a stare continuamente a letto, in posizione orizzontale. Respirando la solita illusione per stare meglio. Otto racconti per esorcizzare il male intorno. Otto racconti, tremendamente veri.

Governi ci sa fare. Le pagine scivolano leggere, portando con sé tutta l’atrocità della sofferenza e dell’arresa, l’esistenza storpiata e le lacrime amare, ma tutto questo «non scalfisce la misteriosa purezza che avvolge gli esseri umani che soffrono». Il dolore dei personaggi si unisce a quello dei lettori, diventa il loro dolore, il nostro dolore che ci spezza le vene. Come di sanguisughe che ci succhiano la linfa vitale. Alla fine della lettura ci ritroveremo stremati e al culmine della disperazione. Ma finalmente liberi. Liberi di abbandonarci alle nostre membra stanche e di accorgerci anche noi che non c’è speranza, non c’è mai stata, dal primo giorno che siamo qui, su questa terra, neppure prima, quando eravamo abbozzi fetali.

(Forse è un’indiscrezione, ma data l’assenza di un sito ufficiale, è possibile entrare in contatto con Massimiliano Governi attraverso il suo nuovo e quanto mai inusuale blog, all’indirizzo: http://pescibanana.splinder.com/)

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