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L’Ulisse tedesco

L’Ulisse tedesco

Ancora una volta il cinema d’animazione tedesco sceglie la via della trasposizione sul grande schermo di una serie di romanzi per bambini, come già aveva fatto per Piuma, il piccolo orsetto polare e La stella di Laura (Der Kleine Eisbär, 2001 e Lauras Stern, 2005, di Piet de Rycker e Thilo Graf Rothkirch), nel legittimo tentativo di assicurare al film una base di pubblico già fidelizzato ai libri. Il puntuale mancato obiettivo è da attribuirsi forse a due fattori: innanzitutto la scelta dei soggetti, decisamente chiusa sui confini nazionali (neanche Momo alla conquista del tempo, 2001, coproduzione italo-tedesca affidata alla regia di Enzo D’Alò, era riuscito ad assicurarsi la sufficienza al botteghino, nonostante il nome internazionale di Michael Ende e il buon risultato estetico ottenuto), quindi la vera e propria costruzione della sceneggiatura, incapace di sostenersi autonomamente senza previa conoscenza del libro.

Felix sembra dare per scontato che il suo pubblico conosca già il personaggio principale. Non se ne spiega l’origine – com’è che Sophie ha un coniglietto di peluche parlante? -, la motivazione, la sua predisposizione di giramondo, segnata da ombrello e valigetta multiuso. Allo stesso modo non si spiega la sequenza di avventure del coniglietto, slegate l’una dall’altra e arbitrariamente giustapposte: lo Yeti, il mostro di Loch Ness, il capitano Nemo e i vampiri.
L’archetipo di Felix è Ulisse: anche qui si racconta la storia di un ritorno a casa, ritardato dalle avventure lungo la via e dal volere di dei benevoli/contrari. Qui gli autori hanno riunito alcuni miti della tradizione occidentale, di varie epoche e provenienze, attenti a epurare ogni forma di malvagità: lo Yeti è un patatone innamorato, il mostro di Loch Ness un povero dinosauro sfruttato dall’avarizia scozzese, i vampiri sono dei ragazzi che non escono mai di casa con tanta voglia di giocare. Una storia zuccherata fino alla nausea, condita da una buona dose di stereotipo nazionale (lo scozzese avaro), senza nessun accenno di ambivalenza dei personaggi, divisi con rigidità manichea in buoni e cattivi (che sono comunque molto pochi).

La poca omogeneità degli elementi della sceneggiatura trova un corrispondente sul piano visivo, semplice visualizzazione dei personaggi e delle vicende senza nessun guizzo creativo (il coniglietto Felix sembra la riedizione di Winnie Pooh in formato coniglio). Il disegno e la colorazione realizzata al computer non superano in qualità quella di una serie televisiva (vengono in mente Lupo Alberto e la Spaghetti Family, sempre curati da Laganà), con tutti gli elementi piattamente bidimensionali e i personaggi poco integrati nelle scenografie. In conclusione ci auspichiamo che la produzione di animazione tedesca smetta di chiudersi sui confini nazionali per spostarsi su progetti più ambiziosi.

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