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Elogio trashico

Elogio trashico

Il cinema quando vuole sa essere spietato. Prendiamo ad esempio la questione dei cosidetti sequel. Non c’è cosa più rischiosa per un regista che girare un sequel di un film fortunato. Ma che dico fortunato, fortunatisSsimo. Il rischio nasce soprattutto quando si vuole girare il sequel di un film diventato un cult. Ma che dico cult, cultisSsimo. Se poi si fa cilecca pure con il cast, la frittata è fatta. Sta di fatto che due esempi recenti, Febbre da cavallo 2 – La mandrakata (Carlo Vanzina, 2002) e Il ritorno del Monnezza (Carlo Vanzina, 2004), hanno floppato alla grande, nonostante le buone intenzioni nostalgiche (dette anche trash da qualcuno e flosh, nel senso di flosce, da qualcun altro).

Cult è un concetto inventato dai distributori di vhs (negli anni ottanta e novanta) e dvd, divx (su internet è un termine indispensabile per avere le cose più fiche da spacciare) per far vendere di più. Se però si vuole capire cosa si intende con cult bisogna pensare a qualcosa di genuino e poco costoso, che magari ha incassato tanto. Eccezzziunale veramente (Carlo Vanzina, 1982) da sempre viene definito cult. Forse anche perché fu un clamoroso successo tanto da guadagnare un miliardo e 108 milioni di lire. Eccezzziunale veramente. Capitolo secondo… me rispetta questa iniziale condizione di cultismo (che è la scienza che studia i fenomeni cult). Anche perché sarà inevitabilmente un successo al botteghino.
Con questo secondo capitolo Carlo Vanzina stuzzica ancora i ricordi dello spettatore, proiettandolo nei favolosi anni ottanta. Quando l’Italia vinceva i Mondiali e le partite erano tutte di domenica. Il Milan in attacco schierava Jordan. Nell’Inter Evaristo Beccalossi incantava le platee col suo numero dieci, e la Juventus aspettava Platini. Una nuova schiera di comici si faceva le ossa nei cabaret milanesi. Ora ci sono Shevchenko, Adriano e Del Piero. Il calcio non è più genuino. I comici invece sono rimasti. Qualcuno fa scuola alle giovani leve, qualcun altro s’è perso strada facendo. L’operazione nostalgia riesce, e probabilmente serve anche ad ammorbidire il mondo pallone. Sempre più puzzolente. Sempre più allo sfascio. Sempre meno divertente.

Eccezzziunale veramente. Capitolo secondo… me, funziona grazie a Diego Abatantuono e alla struttura episodica ingenua e divertente. Parodia e dialetti improbabili, gag da cabaret e dialoghi surreali come nell’82. Prima del tenente Lorusso. Prima di giocare a calcio sulla spiaggia per vincere una gamba di legno. La forza di Abatantuono è meno animalesca ma più matura. Prende in giro se stesso offrendo sempre perle di comicità trash alternate a saggezze volgarotte-popolari, da vero terrunciello e milanese doc. Tra Milano e Zurigo, Ibiza e Gallipoli, Palermo e San Siro, il film intervalla le vicende dei tre tifosi alle prese con bizzarri imprevisti. Se Tirzan e Donato fanno della comicità dialettale la chiave della loro simpatia, Franco è il Diego spontaneo e diretto che siamo abituati a vedere nei film di Salvatores, nel salotto di Controcampo, sul palco di Colorado Cafè o nella fiction. Poi ci sono pure buone spalle, scelte con intuito, che agiscono con entusiasmo a margine di ogni episodio: la Ferilli e la Barbera, Ugo Conti e Mauro Di Francesco, Frassica e Burruano.
Non si sta parlando certo di un capolavoro. Anche perché questo è un film che non ha grosse pretese se non quelle di essere coerente alla comicità del primo episodio. Ci riesce più di altri. Forse però quel tipo di cinema e di genuinità non si riusciranno mai a ritrovare pienamente. Giusto così.

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