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Natale in trincea

Natale in trincea

La cinematografia mondiale é stracolma di titoli che, con maggiore o minore intensitá, affrontano l’atavica e complessa questione della guerra. Da pellicole più dichiaratamente antimilitariste a film guerrafondai, molti registi non hanno saputo resistere alla tentazione di parlare di una delle tematiche che racchiude in sé molte delle circostanze e delle probleatiche dell’umanitá tutta. Da mitici cult come Orizzonti di gloria (Paths of Glory, Stanley Kubrick, 1957) e La grande Guerra (Mario Monicelli, 1959) fino a pellicole più recenti come La sottile linea rossa (The Thin Red Line, Terrence Malick, 1998) e Train de vie (Radu Mihaileanu, 1998), tanto per citare i primi film che vengono alla mente e al cuore, i conflitti bellici sembrano essere un enorme vaso di Pandora da cui i cineasti continuano ad attingere senza fondo.

Christian Carion, giunto con quest’opera al suo secondo lungometraggio, parte da una vicenda realmente accaduta per affrontare la questione. Lo spunto é sicuramente interessante e originale: un piccolo episodio di solidarietá e fratellanza avvenuto nella landa del fronte franco-francese durante il primo conflitto mondiale. L’occasione non é però assolutamente sfruttata nel migliore dei modi: il giovane regista francese crea un piccolo melodramma che assume spesso il sapore della soap opera. Ambientazioni e scenografie eccessivamente costruite e artefatte, scene corali manovrate con sapienza ma spesso superflue, musiche melliflue e smodatamente operistiche, una fotografia satura e sofisticata, fanno sì che un potenziale gioiello non trovi poi realizzazione il giusto equilibrio. Anche da un punto di vista contenutistico il regista, nonché sceneggiatore, sembra eccedere troppo platealmente su concetti di pacifismo, da apparire a tratti demagogico e populista, così come la bella figura del prete (interpretato dall’unico attore degno di nota, Gary Lewis, giá interprete di Billy Elliot – id., Stephen Daldry, 2000 – e di diversi film di Ken Loach), cade poi in un’eccessiva retorica catto-cristiana.

L’inesperienza del regista o forse un talento a metá non fanno spiccare il volo a questo film che comunque, nonostante i diversi difetti, risulta piacevole: quando la retorica riesce a rimanere nascosta dietro una certa umanitá e ingenuitá, quando la forza dei concetti di fratellanza e pace prendono il sopravvento, il film riesce anche a commuovere, se si vuole. Manca quel tocco in più che faceva ad esempio di No man’s land (id., Danis Tanovic, 2001) e della sua pungente ironia un piccolo capolavoro.

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