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Intervista a Daniele Capezzone

Daniele Capezzone, segretario di Radicali italiani, da qualche mese è anche un volto televisivo. È infatti ospite fisso dell’ultima edizione di Markette, il programma di infotainment condotto da Piero Chiambretti in onda ogni martedì, mercoledì e giovedì alle 23.30 su La7. Chiacchieriamo con lui di televisione, a partire dalla sua esperienza di osservatore attento e privilegiato del mondo mediatico.

Daniele, ormai a Markette sei un ospite fisso. Com’è nata la tua collaborazione?

La collaborazione è nata così: sono stato invitato una prima volta da Piero Chiambretti. Ne è venuta fuori una chiacchierata sorridente e, pare, positiva dal punto di vista degli ascolti della trasmissione. Poi c’è stato il secondo invito, poi il terzo. La soddisfazione era reciproca e anche positiva in termini di riscontri e ne è scaturita una, seppur gratuita, collaborazione. Ormai sono nel cast!

Markette ha raccolto molti riconoscimenti tra chi scrive di Tv. Pensi che La7 abbia trovato la soluzione vincente, un format di successo?

Sono molto lieto come spettatore, come collaboratore ma anche, fammi dire, come cittadino. Piero Chiambretti è uno che non è amato dalla destra, ma neanche molto dalla sinistra ufficiale che mostra di non ritenerlo “arruolato” o “arruolabile” con troppa facilità.
In una televisione che oggi a me pare molto basata sull’improvvisazione, complimenti a Chiambretti e ai sui autori. Preparano un sacco, è una trasmissione molto scritta. A parte le cose che dico io, e che scrivo io, tutto il resto non è frutto di improvvisazioni o di gag tirate lì. C’è un lavoro di scrittura pesantissimo, soprattutto se tieni presente che si tratta di tre puntate di un’ora ogni settimana. La critica televisiva superlusinghiera che si legge da un anno e mezzo mi sembra il riconoscimento di un lungo lavoro. Ogni tanto si riconoscono dei meriti a chi ne ha!

Fassino va da Maria de Filippi a C’è Posta per te. Tu sei ospite fisso da Chiambretti. È la televisione a cercare i politici per servirsene come elementi di spettacolo o sono i leader ad avere sempre più bisogno di palcoscenici mediatici?

Credo che sia importante distinguere, perchè esistono tanti politici, esistono tante televisioni ed esistono tanti diversi incroci dell’una e dell’altra vicenda. Tutti sanno che Fassino è andato a C’è Posta per te, mi sembra, per una ragione molto classica: la ricerca da parte di un politico di uno spazio di consenso con grandissimi numeri dove può presentare il proprio volto umano. Questo mi sembra un dato molto tradizionale, molto orientato alla ricerca del consenso: il leader di una forza politica molto grande che ha bisogno di sparare forte al grande pubblico e va laddove questo è possibile. Non molto diverso dal D’Alema soddisfatto che canticchiava con Morandi qualche anno fa.

La tua vicenda è differente?

Quella radicale è un’altra storia. Io sono convinto che i politici, e a maggior ragione i politici che cercano un percorso alternativo, debbano aver terrore di due cose: da una parte del silenzio, dall’altra dell’omologazione. La cosa che a me fa più paura è il pastone di opinioni. Una striscia di due minuti in cui compaiono venti politici tutti uguali uno in fila all’altro, intercambiabili. Tranne che per la ristretta cerchia di coloro che seguono la politica, per tutta la gente normale quella appare come una folla di pazzi alienati che sono assolutamente uguali uno all’altro. Hanno ragione o hanno torto, ma parlano solamente tra di loro. Uno che si trova in una condizione come la nostra va alla ricerca di altri spazi.

A Markette riesci a esprimerti come vorresti?

Guarda, la vicenda Markette mi pare difficilmente sovrapponibile ad altre per due caratteristiche: primo, un dato di assoluta libertà degli ospitanti. Posso testimoniare che in un anno e mezzo non è mai successo né da Chiambretti né dai suoi autori che arrivasse la frase “questo si dice”, “questo non si dice”. Non c’è mai stata intromissione ad alcun livello. La seconda caratteristica è quella che riguarda noi. In un contesto come Markette, non vado a parlare della terza risposta di Marx a Feuerbach. Lo spirito con cui io parlo (ci sarebbe da vedere con che risultati)[img4] è quello, pur sorridendo, di far dire a chi guarda: “…però ha ragione”. A quell’ora bisogna avere in mente un pubblico molto vario, anche se ristretto. Un pubblico alto ma anche popolare, mezzo addormentato perchè è tardi.
L’obiettivo è tradurre una parte della tua iniziativa politica, o almeno una parte della tua alterità rispetto agli altri, non di seguire il filo di un ragionamento. Mi sembra un’operazione anche tecnicamente diversa da quella del politico potente che cerca e trova lo spazio grande per sparare su numeri altissimi e presenta il suo lato umano, buono e sensibile, rispetto a una forza politica di nicchia. Io non vado a parlare di quanto sono buono e di quanto era buona la mia tata. Io vado lì, pur nella chiave della satira, a fare una prosecuzione della mia teoria politica con altri mezzi.

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