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cultura dell'immagine e della parola

Intervista a Daniele Capezzone (seconda parte)

I programmi di approfondimento politico sono quasi sempre ad orari impraticabili e poco seguiti. La politica non interessa più o sono format e palinsesti a essere sbagliati?

È un problema tutto italiano. A me non pare che nel mondo occidentale ci sia un fenomeno come c’è in Italia, tragico, di prima serata televisiva continua. La frazione prime time è una cosa spropositata: le trasmissioni di prima serata non finiscono mai e così la seconda serata non esiste più. Mentre negli anni novanta c’è stato un grande successo di trasmissioni che partivano alle 22.30 – 22.40 oggi non ne esistono più. Una trasmissione che partisse in quel momento oggi sarebbe distrutta dal prime time che è in pieno corso. Se vuoi avere successo devi partire almeno alle 23.30 – 23.35.

Questo allontana l’interesse del pubblico?

Non dico questo ma oggi, stando così le cose, gli autori di palinsesti e i responsabili di rete non possono fare altrimenti. Ci vorrebbe un disarmo bilanciato: se tutti accettassero un riconcepimento dei palinsesti serali e in particolare una restrizione delle prime serate, allora si potrebbe riformare.

Come valuti Rockpolitik, il programma di Adriano Celentano?

Fermo restando la mia simpatia umana e personale per lui, per le sue caratteristiche anarcoidi eccetera, trovo che il suo sia un modo scientifico di costruire un’audience pazzesca con l’attesa, con gli spot prevedibili, con le polemiche opportunamente costruite e dosate prima e tutto il resto.
È una situazione che è preclusa, per esempio, a qualunque dibattito politico. Basta confrontare gli ascolti da 1.5, 1.6, 1.4 milioni di Matrix o di Porta a Porta con i picchi di 15 milioni di spettatori mentre dice che il Papa è Hard Rock…

I politici hanno difficoltà a accedere a questi contenitori di informazione?

I politici sono spesso grossolani. L’unica cosa che capiscono è “più spazi uguale a più ascolti”. Complimenti a chi può fare così.
A parte questo, l’unica cosa a cui stanno attenti sono i pastoni già menzionati, cioè la non comunicazione, o le trasmissioni tipo Vespa, cioè lo specifico politico. Non hanno nessuna attenzione al dato delle altre trasmissioni, delle fiction e delle diverse realtà che creano cultura nel Paese.

Oggi se non si è un personaggio mediatico è difficile riuscire far passare in tv le proprie posizioni. Più “par condicio” è una soluzione?

Ci sono due problemi. Il primo, più che di “par condicio”, è di legalità, cioè del rispetto di una serie di regole che, anche su questo, non vengono rispettate. Il secondo tema è un dato di coerenza culturale e politica. Nei vituperati anni ottanta, che per me non sono vituperati per niente, Rai e Fininvest gareggiavano per esempio con il cinema americano, che potevano imbottire di spot. Quando è passata la nota tesi veltroniana “non si può interrompere un’emozione” è diventato sconveniente acquistare a caro prezzo film che non si potevano riempire di promozioni. È diventato più conveniente produrre fiction che puoi saturare di pubblicità. Però con la fiction il modello culturale è diventato la suora, il prete, il cardinale. C’è una spaventosa regressione: negli anni ottanta televisivi ci sono stati programmi rappresentativi come Drive in e a tarda notte Play Boy Show. C’erano le Signorine Buonasera carine nella televisione che era quella delle Orsomando. Guarda cos’è ora Mediaset: quello che era nato come un centro di produzione culturale, anche alla Freccero, è oggi divenuto un centro di produzione culturale assolutamente passivo, [img4]conservatore, che gareggia con la Rai a chi va più indietro: Padre Pio Rai contro Padre Pio Mediaset diventa l’ipostasi del tipo di situazione che si è creata.

Fermo restando che in tv è meglio stare di più che stare di meno, trovi che sia più importante passare con una dichiarazione di un minuto in un tg o con un minuto di politica in una trasmissione di intrattenimento?

Chiaramente è meglio tutti e due. Però preferisco una situazione di ascolto ridotto dove puoi comunicare te stesso a uno spazio meno ridotto dove la comunicazione è annullata.

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