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La vita e l’amore a trent’anni

La vita e l’amore a trent’anni

Bambole russe, del regista francese di Autoreverse (Ni pour, ni contre, bien au contraire, 2001) Cédric Klapisch è, come Cose da fare prima dei trenta (Things to do before you’re 30, Simon Shore, 2004), una commedia dolce-amara sui trentenni di oggi che hanno paura di crescere e vivono ancora nell’anarchia di sentimenti e responsabilità. Una riflessione su questi eterni adolescenti spaventati dalla realtà e confusi dall’amore.

Klapisch tre anni fa aveva diretto con inaspettato successo di pubblico L’appartamento spagnolo (L’auberge espagnole, 2001).
Si trattava di una commedia corale che aveva saputo cogliere e rappresentare lo spirito di un gruppo di venticinquenni ancora pieni di sogni e progetti per il futuro, divenendo film culto per l’Erasmus generation che poteva vivere o rivivere sullo schermo le proprie avventure, amicizie e amori.
Bambole russe è il suo seguito.
Le cifre stilistiche e di narazione sono le stesse: dall’estetica dei titoli di testa all’uso (abuso) di flash-back, flash-forward, fermo immagine e split-screen. Là era l’aereo che scandiva gli spostamenti di Xavier, qui il treno; là lui scriveva su un Apple fisso, qui ha sempre con sé il suo i-Book. Ma a parte queste scelte di continuità, Bambole russe ben poco conserva della freschezza, dell’originalità e dell’efficacia del primo.
Anche questo Xavier “uomo che ama le donne”, perde in simpatia e consenso rispetto all’altro più genuino e impacciato. Entrambi sono interpretati dell’attore feticcio di Klapisch, Romain Duris (insieme hanno girato cinque film), che il regista sta trasformando in un novello Antoine Doinel.
Lo spirito di gruppo e il multilinguismo che avevano saputo divertire e appassionare ne L’appartamento spagnolo qui sono quasi completamente assenti se non nel futile finale dove ritroviamo tutti gli ex-coinquilini insieme per il matrimonio di uno di loro con una ballerina russa.
Anche nel precedente, Xavier era il protagonista che teneva le fila della narrazione, ma c’era comunque un equilibrio tra la sua storia personale e quella degli altri ragazzi. Qui invece l’attenzione si restringe e si focalizza praticamente solo su di lui relegando, a parte la Wendy di Kelly Reilly, gli altri personaggi a semplici comparse in funzione della sua vicenda.

Klapisch con L’appartamento spagnolo aveva fatto una commedia spensierata scandita da un ritmo incalzante e di giusta durata.
Bambole russe non finisce più. Ma soprattutto sembra che non inizi mai.
Si ha la sensazione che tutto sia sempre una premessa e che la vera storia debba ancora arrivare. Ingannati dal titolo e dal lancio del film, ci si aspetta che tra i continui salti temporali e spostamenti di luogo, ci si fermi una volta per tutte a San Pietroburgo per rivivere in questa più fredda e inusuale città quello stesso clima corale assaporato nella solare e accogliente Barcellona.
Con questa spiacevole impressione intanto passano più di due ore e, solo negli ultimi minuti, si scopre il vero significato del titolo Bambole russe e si risolleva di qualche punto il senso dell’intero film. Scrivere delle storie è mettere in ordine i propri sentimenti e la propria vita in scatole di diverse misure. Morale di Klapisch? Le donne che Xavier incontra sono come le bambole russe. Da qualche parte deve esserci la più piccola, l’ultima, quella giusta.

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