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The (Re)Birth of a Nation

The (Re)Birth of a Nation

Young Americans
Alla fine l’ultima fatica di Lars Von Trier è arrivata, certo non estranea a polemiche, a crociate di adoratori o di spietati detrattori. In questo momento difficile, dove critico è il concetto di libertà, appare considerevole l’apporto del regista danese che colloca la libertà (personalmente sottolineerei anche la libertà di espressione) alla base del concetto stesso non solo di cinema, ma di arte. Eppure il coacervo di temi scottanti sviscerati dal terribile danese con la solita, incorreggibile presunzione richiederebbe da parte del pubblico una sensibilità e un’apertura che ancora mancano, dando paradossalmente ragione allo stesso regista che, per mezzo del vecchio schiavo Willem, più volte sottolinea quanto gli schiavi stessi “non siano ancora pronti” per la libertà. È amaro pensare che una pellicola così irritante e boriosa abbia più di un fondamento di verità, perché, al contrario, se ne dovrebbero, in questo senso, apprezzare le qualità: come sempre, il flagello Von Trier pare non conoscere mezze misure, e se, in precedenza, avevo personalmente adorato la potenza di Dogville (id., 2003) e detestato il melenso Dancer in the dark (id., 2000), mi ritrovo spiazzato nuovamente con un lavoro potenzialmente intelligente ma pericoloso, tanto raffinato quanto estremista. Se la teoria del “vittimismo”, già sviscerata nella sua citata fatica precedente, si ritrova in questa nuova speculazione, anche se con una meno convincente Grace e negli intensi e perfetti Willem e Timothy, è pur vero che, in mano a menti facilmente influenzabili rischierebbe, al pari dell’epopea di Nascita di una nazione (The birth of a Nation, D. W. Griffith, 1915), di scatenare agghiaccianti quanto pericolosi pensieri antisemiti, considerato che nell’ormai cult American History X (id., Tony Kaye, 1998) il protagonista Derek, in piena furia filo-nazista, estremizza un assunto molto simile a quello espresso dagli schiavi a Grace in chiusura di questa stessa pellicola.
Prego, maneggiare con cura.

Better to reign in hell, than serve in heaven
Lo storico monito gridato dal Lucifero del Paradiso Perduto di Milton, vero anticipatore degli eroi romantici che fioriranno in letteratura quasi due secoli dopo di lui, pare muovere le coscienze degli abitanti della piantagione di Manderlay più del bisogno effettivo di una libertà troppo ingombrante per essere vissuta serenamente. Il vecchio Willem, con pacata rassegnazione, chiarirà a Grace di quanto sia più semplice avere un padrone contro cui schierarsi piuttosto che caricare le proprie spalle di responsabilità, mentre l’apparente orgoglio di Timothy punterà l’indice accusando Grace e, di conseguenza, la razza bianca, di aver creato i presupposti perché gli schiavi si comportassero come accade di fatto a Manderlay. Dunque sono i padroni ad aver creato le rivolte operaie, gli assassini la pena di morte, gli Stati Uniti il terrorismo internazionale. La scelta sta nel cercare un’alternativa senza imporla – dovrebbe essere questa la lezione imparata da Grace? Ma non era stato proprio a Dogville che la stessa protagonista aveva paragonato la compassione alla superbia? – o perlomeno provandoci, o adattarsi allo status quo contenti di ogni umiliazione della terra, considerando che più in alto si vola e più si corre il rischio di cadere: gli spunti ci sono, questo è indubbio, purtroppo minati, nel corso delle due ore abbondanti della pellicola, da una narrazione non limpida, una tecnica decisamente inferiore rispetto al precedente Dogville, di cui è imitato lo “stile”, che ha il suo nadir in un montaggio assolutamente inadeguato.

Viene quasi da pensare che il meglio Von Trier sia riuscito a regalarlo con i titoli di coda, accompagnati ancora una volta dalla musica di David Bowie e da immagini che, per intensità e forza, superano l’intera opera che le ha precedute. Forse, ma questa è solo una mia opinione, il superbo Lars dovrebbe provare a rinnovarsi, tentando la strada del documentario o di un prodotto smaccatamente meno arrogante e superbo.

Curiosità
Danny Glover, che interpreta il vecchio schiavo Willem, aveva inizialmente rifiutato la parte, giudicata eccessiva e accettandola solo nelle ultime fasi del casting.
Bryce Dallas Howard, figlia del regista e attore Ron Howard, eredita il ruolo che, in Dogville, fu di Nicole Kidman, che pare abbia rinunciato alla parte a causa delle incomprensioni avute con lo stesso Von Trier. Allo stesso modo il padre della protagonista, cui prestò volto James Caan per Dogville, è interpretato da Willem Defoe.
La “Trilogia americana” di Lars Von Trier, cominciata con Dogville e continuata, appunto, con Manderlay, troverà la sua conclusione quando Grace si avventurerà nell’ultimo capitolo, dal provvisorio titolo Washington, previsto per il 2007.

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