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cultura dell'immagine e della parola

Leftfield – Afrika Shox

VII. Comandamento
«Non rubare»

Artista: Leftfield (guest Africa Bambaataa)
Brano: Afrika Shox
Album: Leftfield
Regia: Chris Cunningham
Anno: 1999


New York 1999. C’è un monolite nero che si staglia dal Financial District di Manhattan. Sembra il responsabile della prima scintilla evolutiva nella preistoria del nostro pianeta. Quello di 2001 Odissea nello spazio, dove echeggiano colpi e schianti di ossa frantumate. Dove il lezzo animalesco della scimmia si confonde con quello dell’uomo. New economy vs. old agronomy. Sembra il manufatto oscuro rinvenuto sulla Luna: quello sepolto nel cratere Clavius, scoperto su Giove e che trasporterà l’uomo oltre l’inifinito, per farlo rinascere sotto forma di essere super progredito.
Divagazioni fantascientifiche a parte, l’opening shot di Africa Shox ha per oggetto il World Trade Center Brooks Brothers Building, una delle Torri Gemelle. Quello che si dice un uppercut nella memoria. Che tramortisce come il destro d’acciaio di Jack Arthur Johnson, l’atleta nero che nel 1903 non poté diventare campione assoluto perché affrontare un boxeur bianco era ritenuto immorale.
Era New York, inizio secolo e oggi, nel 2005, la canzone e il video dei Leftfield sono poderosi jab alla mascella, preveggenti anticipazioni della tensione pre-millennio.

«They planned it yesterday
ffffff-free
»

La voce di Africa Bambaataa scivola fuori dai tombini e si spande ovunque, per lanciare l’avviso: un piano di morte e distruzione mascherato da promesse vacue di finta libertà. Di ponti sullo stretto. Di pace galattica e scudi stellari.
Sembra l’allegoria spietata di quel giorno ed è come rivivere quel mattino, col termometro qualche linea più sotto, una nebbia per coprire gli aerei che tutti avrebbero visto, se vogliamo una luce più adatta a uno zombie-movie di Lucio Fulci e tuttavia tante voci che bisbigliano nell’etere come ragni metallici, che ronzano d’elettricità malefica e di bit e che parlano di aerei dirottati, di caccia in ritardo, di accordi criptati in messaggi satellitari.

«Let’s get electrofied»

Silenzio. Abbiamo perso la parola. O forse ci è stata rubata. Certo è così. Parliamo attraverso microfoni e antenne radio, cavetti di rame e fibre ottiche. La virtualità. Essere altrove. In un altrove che non c’è. O non tocchiamo. Ci controlliamo a vicenda come bamboline vodoo dai bulbi oculari vitrei, pronti a sacrificarsi per interesse o per gioco. Sono finiti i segnali di fumo e i falò di ossa affumicate al cielo, nel rito umano più antico, quello della comunicazione diretta e fisica con la divinità e i defunti. Faringe e la laringe servono a prendere enormi piselli o a ricevere ganci sulle gengive, nell’era del porno e del terrorismo. Perché ascoltare è il rito lento, pietrificante, [img4]umanizzante eppure più faticoso che esista e gli androidi ce l’hanno rubato.
Chiama questo numero verde e chiedi se ce lo restituiscono.

800 9/11/01

«The world is on fire
It’ll take you higher
»

Curiosità
Cunningham lavorò con Kubrick al film A.I. (1995). Il futuro regista di videoclip sventolava i suoi capelli unti e lunghi sopra una tastiera mentre di gran lena si occupava di androidi e di effetti speciali.
La Independent Television Commission (ora parte della Ofcom, la commissione federale delle comunicazioni britannica), sequestrò il video rilegandolo solò in seconda serata. Il video fu ritenuto non idoneo in quattro categorie: terrore, incidenti automobilistici, morte, immagini disturbanti.

Il decalogo di Chris

I. Frozen
II. Second Bad Vilbel
III. Come on My Selector
IV. Come to Daddy
V. Only You
VI. All is Full of Love
VII. Afrika Shox
VIII. The Next Big Thing
IX. Flex
X. Windowlicker

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