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Il ritorno del maestro

Il ritorno del maestro

Circa un anno fa, dopo il sorprendente successo di L’alba dei morti viventi (Dawn of the dead, Zack Snyder, 2004), che portò a casa più di cento milioni di dollari, qualcuno con un po’ di buon senso alla Universal si deve essere chiesto «Se tutti questi pseudosequel hanno successo, perché non riesumare il maestro del genere e provare a fargli fare un nuovo film?». Ecco così che George A. Romero, che negli ultimi dieci anni, boicottato da tutte le major, era riuscito a sfornare solo un horror decisamente sottotono (non solo per demeriti suoi) come Bruiser (id., 2000), si trova all’improvviso con venti milioni di dollari per girare il quarto episodio della serie sui morti viventi.
Non c’è dubbio che l’attesa fosse grande. Romero è stato l’ideatore un genere che, nel corso di quasi quarant’anni, ha subito moltissime mutazioni, ritrovando nelle ultime stagioni il successo grazie anche a opere di indubbia qualità, come il già citato remake di Snyder e lo splendido 28 giorni dopo (28 days later, Danny Boyle, 2002). Land of the dead si inserisce in questa cerchia di pellicole, senza però rivoluzionare nuovamente il genere come ci si poteva aspettare da un film del regista di New York.

La trama è fondamentalmente un proseguimento di Il giorno degli zombi (Day of the dead, 1985), il terzo film della ormai quadrilogia sui morti viventi. Gli uomini sono rinchiusi in una città fortificata e, disinteressandosi degli zombi, ricostruiscono un ordine gerarchico. I morti viventi però prendono sempre più coscienza, iniziano a definire degli obiettivi precisi e puntano la città per ucciderne il capo. La metafora rivoluzionaria di Romero è chiara. Gli zombie che non si fanno più distrarre dai fuochi d’artificio e puntano il centro della città stanno infatti a significare le popolazioni che iniziano ad avere una propria coscienza, smettono di farsi imbambolare dal panem et circenses dei loro governi, e si danno da fare per sovvertirne l’ordine. I morti viventi quindi finiscono per essere i personaggi positivi del film, e il pubblico non può che fare il tifo per loro.

Quello che forse stupisce maggiormente del film è l’approccio registico di Romero. Dennis Hopper ha dichiarato in un’intervista: «Sarete sorpresi da quanto sia cresciuto registicamente George». Il problema è proprio questo. La mano leggera, mai sopra le righe, che aveva dipinto i primi tre film, cede spesso il passo a una ricercatezza tutto sommato inutile, a un ritmo che in alcuni momenti si avvicina a quello da videoclip di titoli come Resident evil (id., Paul W.S. Anderson, 2002). È d’altro canto vero che Romero non aveva mai avuto a disposizione tanti dollari per girare un film (Il giorno degli zombi era costato sei volte di meno), e ha quindi avuto la possibilità di sperimentare qualcosa che non era mai stato in grado di fare. I milioni di dollari sono serviti anche a mettere insieme un cast di tutto rispetto, con attori perfettamente in parte. Dennis Hopper è bravissimo a interpretare una caricatura del presidente Usa spietato e pasticcione, John Leguizamo e Asia Argento, con le loro facce sporche e cattive sono al posto giusto nel momento giusto.

Curiosità
La terra dei morti viventi negli Usa sta incassando decisamente bene, non è quindi da scartare l’ipotesi di un quinto film della serie. Intanto il regista ha già tre film in produzione, tra cui l’atteso Diamond dead, uno zombie musical. Non rimane che aspettare, sembra proprio che una nuova epoca d’oro per George Romero sia appena iniziata.

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