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cultura dell'immagine e della parola

Incredibile visu

Incredibile visu

Impossibile non rimanere affascinati fin dalle prime immagini de Gli Incredibili, ultima (in via definitiva) opera del connubio tra Disney e Pixar. “Ogni film deve essere tecnicamente avanti anni rispetto al precedente” è il motto che ama ripetere John Lasseter (papà di Toy Story e del capolavoro Monsters & Co) e questo film appare come una dimostrazione che, a volte, le regole sono fatte per essere rispettate.

L’animazione è perfetta sotto ogni punto di vista, il character design di ogni personaggio è studiato in modo minuzioso. Il primo lungometraggio in CG della Disney/Pixar in cui i personaggi protagonisti sono a tutti gli effetti degli esseri umani era un esame difficile, in cui era necessario dimostrare di essere in grado di non replicare le animazioni rigide, “da manichino” degli esperimenti precedenti (dal nipponico Final FantasyFinal Fantasy: The Spirits Within, Hironobu Sakaguchi, 2001 – ad alcuni personaggi di Toy Story – id., John Lasseter, 1995). Gli Incredibili non ricerca un inutile foto-realismo, ma anzi, tende a sottolineare il carattere fumettistico e caricaturale dei personaggi, evidenziandone la fisicità attraverso l’uso di livelli qualitativi grafici straordinari soprattutto per quanto riguarda le texture, cioè le sensazioni tattili che danno le superfici di personaggi e oggetti, e la costruzione della luce nelle varie inquadrature (per godere appieno di questi particolari è consigliabile fruire il film in una sala dotata di uno schermo molto ampio).

La storia è, in realtà, un abile rimpasto parodistico del mondo superomistico dei fumetti americani, che oggi spopola al cinema (da X-Men – id., Brian Singer, 2000 – a Hulk – id., Ang Lee, 2003 – da Spider-Man – id., Sam Raimi, 2002 – al prossimo Superman) riproponendo elementi canonici, super poteri tipici e situazioni già affrontate (i supereroi/mutanti a cui si vorrebbero venissero tolti i poteri, vedi X2 – id., Brian Singer, 2003). Il risultato, questo sì che appare incredibile, non sa di minestrone riscaldato come avrebbe potuto sembrare, ma strabilia per la ricchezza e la qualità delle invenzioni visive che offre agli spettatori. Contemporaneamente non infastidisce più di tanto la capacità subdola della Disney nel creare ex novo un brand di fortissimo appeal per il mondo infantile (quello che la super famiglia porta stampato sul petto) con cui ha marchiato migliaia di gadget di ogni tipo, in vendita pressoché ovunque (mania dalla quale nemmeno il sottoscritto può proclamarsi immune, essendo assai orgoglioso del proprio berretto firmato con la I!)

Una segnalazione per l’eccezionale autoironia di Amanda Lear nel dare la voce a una stramba e minuta stilista per supereroi che le assicura la palma per il personaggio meglio riuscito dell’intero cast virtuale.
Infine, la battuta migliore che si possa dire/scrivere su questo film l’ho sentita in sala, da un seienne seduto nella fila dietro la mia. Dopo due ore, dico due, di film (lo standard per questo genere non supera i novanta minuti), all’inizio dei titoli di coda tira la mano al padre e chiede: “Ma è il primo tempo o è già finito?”; beatà gioventù!

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