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cultura dell'immagine e della parola

La censura oltrepassa il video

L’aria si è fatta pesante, troppo pesante. Ci si trova senza fiato, si annaspa, si fa una gran fatica a muoversi. Credevamo che la televisione pubblica italiana fosse a corto d’ossigeno, seduti in poltrona assistevamo al progressivo affievolirsi delle voci più dissonanti che popolavano il video: da bravi ingenui non ci siamo accorti che anche l’aria del nostro salotto stava diventando irrespirabile.
Abbiamo visto Biagi e Santoro accompagnati all’uscita, ci siamo ritrovati come i carbonari a guardare su Emi.Li la seconda puntata di Raiot. Abbiamo seguito lo spettacolo di Luttazzi sul satellite, lo stesso satellite che avrebbe dovuto ospitare qualcuno che però ha fatto valere le sue amicizie altolocate. Abbiamo preso atto del fatto che non si può intervistare il direttore di The Economist qualora egli non sia d’accordo con la politica del nostro esecutivo.
Ma solo ora scopriamo che lo schermo televisivo non è una barriera invalicabile, che non siamo più solo spettatori: siamo parte in causa. A farcelo scoprire è una notizia del 9 gennaio che non ha avuto grande risalto sui media, pur prospettando scenari inquietanti.
Trenitalia ha licenziato quattro ferrovieri che hanno collaborato con la redazione di Report per il servizio sulla carenza di sicurezza delle ferrovie italiane andato in onda il 7 ottobre del 2003 su Rai Tre. I quattro, accusati di aver violato le norme di sicurezza durante le riprese, non troveranno un nuovo impiego satellitare e non ci sarà nessuna rete di emittenti locali che gli offrirà un treno in prima serata. Al massimo troveranno un posto di lavoro in nero, come già il Presidente del Consiglio aveva auspicato per i cassintegrati FIAT. Resta il fatto che al momento sono semplicemente dei disoccupati.
Non c’è nessuna retorica nel definire questo fatto gravissimo: chi ha visto quella puntata di Report ricorderà le interviste a ferrovieri e macchinisti che denunciavano la mancanza di manutenzione sui mezzi, la non funzionalità degli estintori, il pessimo stato della rete ferroviaria e la mancanza di risposte da parte dei superiori interpellati ripetutamente in proposito. Per una sera avevamo seguito un programma che svolgeva un compito di servizio pubblico.
A differenza dei succitati casi di censura televisiva, questa volta ai piani alti si è scelto di colpire non il servizio, bensì il pubblico macchiatosi di collaborazionismo.
Certo, ora si dirà che è stata un’iniziativa dei manager di Trenitalia, che non si può accusare il potere politico di aver partecipato a quello che Milena Gabanelli, coordinatrice della redazione di Report, ha definito “un atto intimidatorio”.
D’accordo, non ne dubito: quello che contesto è il fatto che ormai in Italia chiunque detenga del potere si sente automaticamente autorizzato a farlo pesare, in modo più o meno diretto, sui mezzi d’informazione e su chi con questi mezzi collabora.
Quello che contesto è quest’aria irrespirabile; e chi l’ ha inquinata.

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