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cultura dell'immagine e della parola

Io che racconto

Io che racconto

Lo sceneggiatore: figura il più delle volte sottovalutata, cosiderata mera manovalanza: almeno da un certo tipo di industria cinematografica.
…uno che a scribacchiare se la cava, e allora prende un libro già scritto da un altro e lo strizza e lo spreme per farlo entrare nell’oraemezza di film…
Frustrante, quantomeno.
(Già quel tale Barton, giunto a Hollywood, si trovò di fronte a produttori che da uno sceneggiatore esigono un prodotto: allo stesso modo in cui a un falegname si ordina un tavolo.)
Magari non è sempre così, ma spesso in alcune pellicole affiora un’ increspatura di insofferenza, di rivendicazione: lo sceneggiatore si sente uno scrittore, non un tecnico, e da scrittore vuol essere trattato.
Addirittura poi, come nel divertente Adaptation di Spike Jonze (Essere John Malkovich); lo sceneggiatore non riesce a trattenersi dall’ infilare sè stesso nel film che sta riducendo: il risultato non sarà certo un libro “adattato”. Ma qualcosa di molto più interessante: una palpitante e paradossale parabola della difficoltà e dell’ arte di raccontare, e dell’ impresa di maneggiare una storia senza mischiarla con la propria persona, “inquinandola” dei propri pensieri. Della propria vita.
Il protagonista del film si chiama, guarda un po’, Charlie Kaufman: proprio come il vero sceneggiatore. Complessato, brutto, pelato, grasso e impacciato, ha il volto di Nicholas Cage: effettivamente brutto, grasso e pelato. Alle prese con un la riduzione di un libro, Il ladro di Orchidee, opera della scrittrice Susan Orlean (interpretata da Meryl Streep). Un libro che “parla di fiori”: in apparenza. Ma che in realtà è una profonda riflessione sul desiderio e su come le persone possano far di un oggetto, di una passione, uno scopo di vita.
Kaufman (quello vero) rivela in un’ intervista che il film nasce proprio da una sua difficoltà nel ridurre il libro in questione: libro che forse poco si adatta a essere reso per immagini, per via della sua natura intimistica, di ricerca e analisi interiore da parte dell’autrice. Ecco lo spunto, geniale, che trasforma la storia di un “ladro di orchidee” (Chris Cooper, il “colonnello” nazista omofobico di American Beauty); nella storia di un “adattamento”: la storia di uno scrittore che deve raccontare la storia di una donna che racconta della sua passione per un uomo che ha fatto della passione per le orchidee la sua vita…
Il lavoro di Kaufman/Cage procede lentissimo, ha decine di inizi diversi e inconcludenti: ma in tutti è lo sceneggiatore stesso a comparire puntualmente tra le righe del testo, spinto dalla propria nevrastenia e dai proprio complessi, e dalle frustrazioni che le difficoltà affioranti fanno nascere in lui, a creare un circolo vizioso che sembrerebbe non avere uscita, al punto da portarlo a un passo dal gettare tutto alle ortiche. (Chissà se il vero Kaufman è giunto a tanto!)
Ma Charlie troverà un inaspettato aiutante nel fratello Donald, interpretato dallo stesso Cage; aspirante sceneggiatore anch’egli, alle prese con la creazione dello script di un grottesco thriller, incredibile assortimento di banalità e clichés e trovate “da scuola di scrittura creativa”. Un personaggio agli antipodi di quello di Charlie, che il pur bravo Cage interpreta in maniera troppo simile a quest’ultimo.
Dunque Adaptation, fino ai tre quarti, viaggia sulla scorta della grande intuizione su cui prende le mosse, complice l’indubbia bravura di Jonze, che sfodera una regia davvero personale e mai scontata. Ma dal momento in cui i due fratelli sceneggiatori incrociano di persona le vicende della scrittrice e del protagonista del libro, la trama si fa macchinosa e il godimento precipita: per giungere al gran finale, che sembra provenire direttamente dall’abominevole thriller scritto da Donald: inseguimenti, sparatorie, tentativi d’omicidio. Come già il precedente lavoro del duo Kaufman/Jonze, l’acclamato “Essere John Malkovich”, l’involuzione “noir” sa quantomeno di esagerato.
Ma Adaptation non ne esce rovinato. La sua forza sta nel suo essere cinema che parla di cinema: nello svelare le carte subito e candidamente, nel suo mettersi in gioco con grande autoironia.
Metacinema. E metanarrazione: narrare, e non nascosti dietro a paraventi, ma ponendosi al centro delle immagini, a cavalcioni delle parole.
Solo un esperimento, forse. Ma ce ne fossero.

Curiosità: come sceneggiatori del film sono accreditati Charlie Kaufman e Donald Kaufman: il secondo è del tutto immaginario. Tuttavia questo non gli ha impedito di essere nominato agli Oscar venturi nella categoria “Sceneggiatura non originale”. E’ il primo caso di persona immaginaria che riceva una nomination.
Golden Globe 2002 a Chris Cooper (“Migliore attore non protagonista”) e Meryl Streep (Migliore attrice non protagonista”)

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