hideout

cultura dell'immagine e della parola

Vorrei e non vorrei…

Vorrei e non vorrei...

Presentato al Festival di Cannes 2002, nel corso di un’edizione molto ricca di film d’alto livello, “Marie-Jo e i suoi due amori” è il dodicesimo film – il quinto distribuito in Italia – di Robert Guediguian, che, fedele a sé stesso, per l’ennesima volta ambienta la vicenda a Marsiglia, cercando di ripetere il successo (di critica più che di pubblico) dei precedenti “La ville est tranquille” e “A l’attaque”. Per tre quarti del film, sembrerà riuscirci.
Subito colpisce il ritmo: se da un lato il tempo scorre lentamente e fotogramma dopo fotogramma viene pazientemente descritta la quotidianità di Marie-Jo, di Daniel (suo marito); di Marco (il suo amante); dall’altro il montaggio interno alle singole sequenze è piuttosto frammentato, nervoso, caratterizzato da una generale penuria di piani-sequenza. In particolare, è da notare la sequenza del primo amplesso tra Marie-Jo e il suo amante, dove Guediguian sembra ricorrere al jump-cutting in modo quasi “godardiano”. Questo andamento sincopato conferisce al film una brillantezza insolita per i melodrammi francesi, resa maggiore dai dialoghi, puntuali e incisivi, della sceneggiatura. Ma nulla vieta di leggervi qualcosa di più di un semplice accorgimento stilistico: dentro la normalità di una normale famiglia, dove ogni cosa scorre piano, appunto, lentamente – il lavoro, la relazione di Julie (la figlia) con un ragazzo della sua età, le gite al mare, le feste con gli amici – si consuma un dramma violento e isterico, una rottura insanabile che prima o poi esploderà con tutta la sua forza, ben rappresentata dalla discontinuità del montaggio.
Altro punto di forza della pellicola è il ruolo chiaramente metaforico svolto dal mare. Leit-motiv di tutto il film (come in altri del medesimo regista); con il suo moto continuo, incessante e con l’assenza totale di stabilità sembra riflettere la deriva umana e morale della protagonista.
E’ in questa fase che i tre attori principali danno il meglio, riuscendo ad interpretare la singolarità della situazione in cui sono coinvolti. Una menzione speciale merita però Julie-Marie Parmentier, bravissima nel ruolo della figlia e sempre estranea agli insopportabili stereotipi che i “figli”, i “giovani” si portano in dote nei film di questo genere.
Col passare dei minuti tuttavia, in platea ci si inizia a domandare cosa accadrà di nuovo, che direzione prenderà la vicenda: dopo aver esposto l’avvicente e intelligente idea della doppia-fedeltà e presentato il rapporto di forza tra i personaggi, si attende un evento, un fatto nuovo che rivitalizzi l’intreccio. Ma l’attesa sarà vana.
La trama continua a viaggiare sui medesimi binari, a poggiare sempre e solo su un unico tema, l’incapacità di scegliere tra i due amori; e così, è inevitabile la discesa del male peggiore, la Noia. Infatti, l’ultima mezz’ora è davvero ripetitiva, si ha la sensazione che ormai la storia si attorcigli a oltranza su sé stessa, che il regista non abbia “trovato” il finale. Ed è un peccato, perché sarebbe bastato arricchire la sceneggiatura o, ancora meglio, inserire prima l’incidente in barca conclusivo perché il film a conti fatti risultasse migliore di quello che è. Proprio l’ultima sequenza è la più riuscita di tutto film (benché la doppia morte sia un po’ cervellotica a livello narrativo); l’unica in cui compaiono veri e propri slanci di puro lirismo, ma, come già detto, arriva veramente troppo tardi.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»