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Poesia made in Hong Kong

Poesia made in Hong Kong

Hong Kong, 1962: la segretaria di un’agenzia di viaggi, Su Li-zhen (M. Cheung) e il giornalista Chow Mo-wan (T. Leung); scoprono lentamente che i rispettivi consorti, spesso all’estero per asseriti impegni di lavoro, sono amanti. La triste circostanza li porterà a legarsi sentimentalmente l’uno all’altra, fino a quando l’uomo, divenuto nel frattempo scrittore di libri di arti marziali, decide di trasferirsi a Singapore.
“Il regista delle passioni” di Hong Kong, definito da più parti “l’erede” di Antonioni, dirige e scrive una tenera storia d’amore con una sensibilità e un’eleganza di altri tempi, che lo rendono un melo lontano anni luce dagli sdolcinati filmetti rosa di cassetta. Film straordinario in cui, come costantemente accade nel cinema di Wong, si intrecciano indissolubilmente, con una vena di malinconia, il tema della solitudine, il senso d’abbandono, l’intimismo quotidiano delle azioni, scandito perfettamente dalle immagini di orologi che testimoniano il tempo che scorre, il pudore dei sentimenti (nessun bacio tra i due protagonisti, l’unica scena d’amore è stata eliminata in fase di montaggio, mentre Chow si dichiara apertamente consapevole della fedeltà che l’amata conserva per il marito, intuendo, infine, che fra di loro non ci può essere futuro: “non c’è niente”). Interessante anche il ricorso da parte di Wong ad acute tecniche narrative (il marito e la moglie dei protagonisti non vengono mai inquadrati in volto, ma tutt’al più di spalle, come nel caso di lei); la rinuncia alle sperimentazioni dei film precedenti, in particolare all’uso frequente (ma brillante) di sequenze da videoclip. Bellissimo il leitmotiv di Michael Galasso, arricchito da due brani in spagnolo di Nat King Cole (“Ojos vertes”, “Quizas, quizas, quizas”). Magistrale fotografia dell’abituale collaboratore di Wong, Cristopher Doyle, coadiuvato da Mark Lee Ping-bing. Grandi elogi a Cannes e premio per il miglior attore, Tony Leung (ormai una star in Cina, dopo i successi con i film di John Woo e dell’inventivo e molto ben fatto Hong Kong Express di Wong) e Gran Premio della Giuria per il miglior contributo tecnico al montatore, costumista e scenografo William Chang Suk-Ping. Per gli amanti del grande cinema e, specialmente, di quello orientale, troppo spesso soppiantato, anche in questo caso, da futili B-movie sentimentali di produzione americana, quest’opera costituisce una meraviglia da non perdere.

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