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L’orgoglio inglese e la dignità Indiana

L’orgoglio inglese e la dignità Indiana

Questo kolossal indiano colorato, eccessivo e divertente racconta la storia degli abitanti del villaggio di Chandrapore costretti a sopravvivere tra feroci inglesi, un Raja senza potere reale e una terribile siccità. Un giovane falegname indù, Bhuvan, bello, ribelle, animalista, un pò sbruffone e dallo sguardo piuttosto tenebroso decide di accettare la sfida del capitano Russel ritenendo il criquet “uno stupido gioco da ragazzini”. Da quel momento Bhuvan comincierà a costruire a ritmo di musica la sua squadra mettendo insieme una armata pittoresca e sgangherata che sembra uscita dalla penna di Kipling tra cui svettano un santone iracondo, un enorme Sic che odia tutti gli inglesi e un “intoccabile” dalla mano menomata. Nell’impresa Bhuvan sarà aiutato da Elisabeth, bella ed eterea sorella del capitano Russel che, innamorata del giovane indù e indignata dall’arroganza del fratello, insegnerà al gruppo le regole del criquet. Elisabeth come una principessa entra in scena in carrozza o a cavallo e quando appare, durante una cerimonia indù, vestita di bianco con il “tika” (puntino rosso) sulla fronte seduta accanto alla madre di Bhuvan sembra di rivedere per un istante le vecchie immagini di Indira e Sonia Gandhi. I personaggi sono molto definiti nei caratteri e chiari nella psicologia e la trama, molto lineare, segue gli stilemi del cinema classico Hollywoodiano (non a caso lo scorso anno il film ha ricevuto la nomination all’Oscar quale miglior film straniero); alternando sentimentalismo alla Frank Capra, coreografie da musical che non hanno nulla da invidiare a quelle della Warner Bros degli anni ’30 e sequenze “da film d’azione” di alta qualità formale. Gowariker sfrutta al massimo l’ampiezza e la profondità dello schermo in cinemascope componendo le inquadrature con centinaia di comparse, ballerini e donne in “sari” rossi e arancioni e seguendo abilmente i loro complessi movimenti sulla scena con bellissime panoramiche da tutte le direzioni. Tanto disarmante quanto appassionante ci appare la semplicità delle situazioni e dei sentimenti narrati: amore, gelosia, rabbia, invidia, ingiustizia, superbia e saggezza accompagnano i personaggi nel corso dell’intero film. La travolgente scena della danza della pioggia accosta nella nostra memoria gli abitanti di Chandrapore ai barboni di “Miracolo a Milano” (Vittorio De Sica, 1951) sempre alla ricerca del raggio di sole per scaldarsi. Le epiche sequenze della sfida a criquet sono ricche di omaggi e citazioni; quando le squadre entrano in campo dall’orizzonte al ralenti sembra di rivedere l’ultima scena di “Il mucchio selvaggio” (Sam Peckinpah, 1969) e i primissimi piani alternati degli avversari sono sottolineati, nel finale, da un accenno alle note che qualche anno fa Ennio Morricone compose per Sergio Leone. Le statuette colorate e fosforescenti degli dei indù, la danza sulla torre del castello di Elisabeth vestita di veli rossi e la scena del sogno in cui lei e Bhuvan immaginano di ballare insieme un’elegante walzer e una sensuale danza indiana sono solo alcuni dei momenti dedicati dal regista agli amanti del camp. Quando nel finale, a cui si arriva ormai esperti e appassionati di criquet, l’impassibile arbitro inglese annuncia “no ball” rivolgendosi, sembra, direttamente allo smisurato ego del Capitano Russel, tutti ci sentiamo profondamente sollevati. Non sappiamo se “Lagaan” (premio del pubblico all’ultimo festival di Locarno) sarà seguito nelle sale europee da altri film indiani, ma almeno noi non abbiamo dubbi in proposito: Bollywood è sbarcata sul Tevere!

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