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cultura dell'immagine e della parola

Il mostro è in tavola

William Burroughs Quando, nel 1981, David Cronenberg dichiara ad una rivista canadese di voler portare sullo schermo il testo sacro di più generazioni, quel “Pasto Nudo” pubblicato dopo innumerevoli rifiuti in Francia nel 1959, non sa che gli ci vorranno dieci anni per riuscirci.
Incontra lo scrittore nel 1984 e l’anno dopo sono a Tangeri per i sopralluoghi, ma solo cinque anni dopo il progetto ottiene l’ok dai produttori e due anni dopo vede la luce.

“Io mi sforzo di manipolare nel modo più preciso le parole e le immagini per produrre un’alterazione nella coscienza del lettore.”
Così, William Burroughs, si presentava programmaticamente alla rivista “Paris Review” negli anni sessanta, quando la sua opera cominciava a venire alla luce e sconvolgeva oltre che scandalizzare i lettori.
E ancora oggi, leggere le sue opere, come “Naked lunch”, “Nova express”, “The soft machine” (i primi esperimenti degli anni sessanta) fino alle ultime opere degli anni ottanta, è un’esperienza, che se forse non provoca “alterazioni nella coscienza” come egli stesso sperava, sicuramente colpisce.
Più che romanzi, esperienze oltre la sperimentazione, work in progress tra i più radicali ed estremi che la letteratura del ’900 ci abbia dato, inutile cercare intreccio o minimo contenuto, nelle inetichettabili sperimentazioni dello scrittore americano oltre ogni tentativo d’avanguardia letterario del secolo passato.
Pure, difficile trovare artista più celebrato e venerato negli ultimi cinquant’anni di cultura americana: padre spirituale di tutto il gruppo di battuti/beati che girovagavano per il continente USA tra gli anni ’50 e ’60; punto di riferimento per la cultura rock dagli più fertili e creativi ( i “Soft Machine” il nome lo prendono proprio da lui, ed è solo un esempio…) fino agli ultimissimi eroi del grunge (infinita la venerazione di Kurt Cobain per l’anziano scrittore tanto da incidere insieme una traccia); passando attraverso il punk, fino al cinema (Gus Van Sant lo ha voluto nel ruolo, dl prete nel suo primo film) in cui gli omaggi si sprecano.
William Burroughs, può essere considerato (per la sua opera, ma non meno che per la sua vita, leggendaria ) l’archetipo della controcultura americana, che attraversa dalle origini fino agli ultimi sviluppi, dal primissimo dopoguerra (i beat) fino agli ultimi anni della sua, incredibilmente lunga per come l’ha vissuta, vita (il grunge).
Radicalità estrema, nell’opera quanto nella vita.

Detto questo, l’incontro con Cronenberg era solo questione di tempo.
Non c’è scrittore (anche se per burroughs, scrittore forse non è il termine più adatto, sempre che ci sia termine per identificare chi sia…) che con uguale determinazione abbia scandagliato la parte più oscura dell’animo umano (allucinazioni, ossessioni, incubi, così forse si possono sintetizzare i temi a lui più cari) “organizzandoli” in una forma che sperimentale, d’avanguardia o estrema non bastano a descrivere.
Analogamente pochi registi si sono concentrati con tanta ossessiva ostinazione all’incubo, alle paure e angosce più profonde del nostro tempo, dando alla luce, film tra i più radicali e sconvolgenti degli ultimi vent’anni (in forme più appariscenti, “La Mosca” o più controllate ma ugualmente mostruose, “M. Butterfly).
La metamorfosi, la mutazione, l’incubo e l’allucinazione, in forma radicale ed estrema.
Difficile dire se si stia parlando dello scrittore o del regista.
Difficile trovare due autori così vicini: la mutazione fisica, l’invasione tecnologica, la dipendenza, il disgusto/attrazione per il corpo, temi che passano dall’uno all’altro.
Se ci mette anni ad adattare il romanzo, tutti i film del regista canadese sono infestati, posseduti dallo spirito di Burroughs (che scrive: “Ci sono influenze e legami. Una delle ragioni per cui certi scrittori ti condizionano in questo modo, è che riescono a cristallizzare delle cose che sono già in te. Certe immagini di dipendenza e coscienza del corpo, diciamo… mie?, erano già in Burroughs.).
David Cronenberg
Ma Cronenberg non fa un adattamento del romanzo (del resto se non illeggibile, sicuramente infilmabile); ma compie egli stesso un Cut-up (il metodo dello scrittore, consistente nell’assemblaggio libero di parole, in linea con le principali tendenze dell’arte Usa contemporanea, per “aprire le porte della coscienza” per citare uno dei suoi tanta epigoni…); fondendo parte del libro con passi di altre opere successive, ed episodi della vita stessa di Burroughs scrittore e tossicomane all’ultimo stadio (che scrive il libro a Tangeri, assistito da Ginsberg e Kerouac che suggerisce lo strabiliante titolo, in fuga dal Messico, ricercato dalla polizia per aver ucciso, esito di tragico gioco sotto stupefacenti, la moglie, e tutto questo è nel film) creando più che un film da un libro, un film su un libro, su un autore.
È uno spunto da cui Cronenberg ha la possibilità di omaggiare un suo maestro ma anche mettere in scena un mondo, un universo di un autore assolutamente vicino alle sue tematiche.
Un viaggio allucinante e allucinato in un mondo di incubi e trip lisergici, che è una profonda riflessione sul mestiere di scrivere, sul processo di creazione artistica intesa come ossessione violenta, un’ ennesimo (nella carriera di Cronenberg) viaggio dentro il lato più oscuro della mente e dell’animo umano.[img4]

“L’atto dello scrivere non è molto interessante dal punto di vista cinematografico. È un atto interiore. Per comunicare l’esperienza della scrittura a chi non ha mai scritto, bisogna essere oltraggiosi. Bisogna capovolgerla e renderla fisica, esteriore.” (D.C.)
Mai al cinema l’atto della scrittura e della creazione letteraria è stata resa così fisica, esteriore (macchine da scrivere che si trasformano in insetti…) grazie all’immaginario del regista associata ai sorprendenti effetti speciali di Chris Walas.

Non un adattamento, ma un mettere in immagini un mondo (quello folle e inquietante di un guru della controcultura); che condensa e comprende le ossessioni e le tematiche molto vicine anche al canadese.

Un viaggio in cui (qui come in nessun altro film dell’ autore) crollano e diventano irriconoscibili i confini tra finzione e realtà, incubo e follia, allucinazione e percezione oggettiva, mondo esterno e mondo interiore.

Un’opera di Cronenberg su Burroughs, più che di Cronenberg da Burroghs.

Del resto è lo stesso regista, sulla rivista “Esquire” a paragonare il suo rapporto con lo scrittore a quello del personaggio principale del suo “La Mosca”: “La mia idea è questa: Burroughs e io siamo stati fusi insieme nello stesso telepode. E il risultato è un brundlething, ovvero la mia versione di The Naked Lunch. È il risultato della nostra fusione, ed è qualcosa che nessuno di noi due avrebbe mai fatto da solo. Ormai non so più chi di noi due è la mosca e chi l’umano.”

The naked lunch, William Burroughs (1959); edizione italiana Il pasto nudo, Adelphi (2001)
Naked lunch, David Cronenberg (1991)

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