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Spezzoni di un mito

Spezzoni di un mito

George Best è stato, secondo Pelè, il miglior calciatore di tutti i tempi. I suoi piedi erano fatati, il suo tocco sottile, sapeva sempre come gestire il pallone. C’era però una cosa che non sapeva gestire, la sua vita. Un talento straordinario massacrato dall’abuso. Abuso di alcool, donne, macchine. Soggetto ideale per un film dunque, Best è qui interpretato da John Lynch, anche sceneggiatore e, da buon nordirlandese, grande fan del calciatore. Ma l’opera, terza regia di Mary McGuckian, moglie di Lynch, ha più difetti che pregi. Prima di tutto la sceneggiatura, spesso slegata e senza quel filo conduttore che, per un’opera biografica come questa, sarebbe fondamentale. La McGuckian è poi incerta nel passaggio tra fiction e documentario, andando spesso a cercare una commistione tra i due generi che rischia di cadere nel ridicolo (si vedano ad esempio le riprese dei goal di Best, con i filmati originali montati assieme a immagini di esultanza di Lynch). La prova dell’attore, già protagonista in film di successo come “Sliding Doors”, è ricordabile più per le sue prestazioni calcistiche che per quelle espressive, mentre Ian Hart è sprecato e Patsy Kensit fa la bella bambolina. Qualche elemento positivo comunque c’è. Prima di tutto la fotografia, che con la sua opacità riporta al cinema dell’epoca di Best. Interessanti anche le numerosissime zoomate in avanti, anch’esse caratteristiche del new cinema inglese, che però alla lunga stancano e creano un eccessivo senso di artificialità. La scena migliore arriva verso la fine, quando Best, accerchiato dalla polizia in casa propria, guarda in tv il giornalista che fa la cronaca dell’avvenimento nel suo giardino. A parte ciò rimane però un film consigliato solo ai fan del Manchester United desiderosi di un’opera agiografica sui propri campioni, ma non allo spettatore alla ricerca di un film che sappia coinvolgere ed emozionare.

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