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cultura dell'immagine e della parola

Pelle

Faccio scivolare il velo che la ricopre: inauguro il monumento alla sua bellezza. Lei dorme: ma ora e’ completamente nuda, e il suo corpo smisurato si estende davanti a me, minuscolo esploratore di questa terra bianchissima. Sono il suo amante: posso percorrere questo corpo in lungo e in largo; posso darle piacere nel sonno. Sono il minuscolo diavolo che da’ inizio al suo sogno di passione. La mia ricompensa è camminare su questa terra di velluto, morbida e profumata, che già mi faceva perdere la ragione quando ero di dimensioni normali: ora questa pelle è il verde smalto del mio Eden, è la terra nera feconda dei padri. Ora il mio sogno di sempre è possibile: ogni angolo di questo corpo è mio, posso baciarne ogni millimetro, posso conoscere ogni dettaglio, ogni risvolto: ho conquistato la materia di cui è composto il mio universo. Da oggi calpesto questi chilometri (per me) di epidermide come un sultano i tappeti preziosi del suo palazzo. Ovunque volga lo sguardo vedo solo bellezza, tale da farmi tremare le gambe.
Inizio a baciare il suo corpo, a gettarmi su quelle zone che prima avevo solo potuto sfiorare religiosamente, con il cuore in tumulto. Ora mi ci tuffo senza timore, come su covoni di fieno appena mietuto: e la mia amata nel sonno se ne accorge, si muove un poco. Devo attaccarmi per non essere sbalzato dal dolce pendio, come un naufrago al suo legno, tra le onde.
È un amore pericoloso: ma non posso fermarmi.
Come il verme del “Mar delle blatte” di Landolfi striscio da un angolo all’altro di questo corpo d’avorio per non perdere il minimo contatto, tentando di fondermi con lei, di intridere la mia trascurabile sostanza del suo profumo, del profumo di questa pelle meravigliosa che ora, i miei sforzi funzionano! inizia ad imperlarsi di una microscopica rugiada, che sarebbe invisibile normalmente ma che le mie dimensioni di uomo di Lilluput mi permettono di osservare. E’ il segno! La mia attività sta sortendo gli effetti previsti. Questo tappeto di gocce mi da’ una vertigine di piacere: la luce della Luna che entra dalla finestra aperta trasforma la distesa del suo ventre in un tappeto di gemme. Ho seminato il terreno con i miei baci, l’ ho arato con il contatto del mio corpo: questo è il raccolto. Le gocce intorno all’ombelico, lentamente, sotto il loro stesso peso, prendono a scivolare verso il fondo, a formare una piccola vasca; mi avvicino, mi lascio scivolare a mia volta: e mi battezzo adoratore di questa mia Venere imperlata.
Quell’immagine che mi aveva sempre incantato (e si noti l’anacronismo!); il particolare della pancia di Jane March ne “L’amante” di Jean Jaques Annaud, quella fotografia così accesa, il contrasto tra ombra e l’arancio bruno del corpo, la pelle ravvicinata, le gemme causate dal piacere: questo io vedo ora; la meraviglia del corpo femminile al suo acme. Lì un lembo di pelle vibrante, contratta, immersa nella luce di un tramonto d’oriente; qui il pallore della Luna su una distesa di riflessi, un tappeto di stelle.
Di questo campo di diamanti io sono il bracciante, il fattore, il feudatario.
Sono l’uomo più ricco che abbia mai camminato su questo pianeta.

…e mi resta solo una cosa da fare…

Adieu.

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