hideout

cultura dell'immagine e della parola

Quattro biglietti di banca

Quattro biglietti di banca

“Nella vita c’è di più che quattro biglietti di banca… non ci hai mai pensato?” così, verso la fine della pellicola, la protagonista Marge Gunderson (Frances McDormand) chiede a uno dei due rapitori il motivo per cui tanto sangue ha macchiato di rosso la neve di Fargo, paesino del North Dakota. E conclude il discorso (il monologo: il criminale è praticamente muto) con queste parole: ”Non capisco… proprio non riesco a capire.”
Fargo è tratto da una storia vera, avvenuta in quei luoghi nel 1987; un fatto di cronaca, per quanto cruento, per nulla straordinario: come se ne vedono, come ne vediamo, tutti i giorni. L’assurdità della violenza non impedisce la sua inaccettabile banalizzazione. Ma l’analisi impietosa che Joel e Ethan Coen ci offrono dei meccanismi che portano alla tragedia eleva questo film ad esempio illuminante, svelando, spietatamente, come per cadere nella spirale del delitto non sia necessario essere individui malvagi o diabolici: basta essere miserabili. Come è lontano chi insegue il “Delitto perfetto” dei tempi di Hitchcock… La mediocrità interiore, insieme all’avidità, portano l’uomo alla rovina, e quel che è peggio, coinvolgono anche chi non c’entra, chi passa in macchina e vede, chi si trova sulla via di chi va a schiantarsi.
Tutti i delitti del film discendono da un unico padre: il denaro. Per denaro il miserabile Jerry Lundegaard (William H. Macy) organizza il finto rapimento della moglie, e a tal fine ingaggia due crudeli quanto imbranati criminali: quasi subito a causa della loro ottusa violenza il dramma si evolve in tragedia. Per “quattro biglietti di banca“ muoiono sei persone tra innocenti vittime e carnefici: l’omuncolo che ha dato il via a questa assurda spirale di morte esce di scena piagnucolando, attaccandosi agli stipiti delle porte quando i poliziotti tentano di arrestarlo, come fanno i bambini quando non vogliono andare a scuola. Chi è senza soldi farebbe di tutto per averli, chi invece di soldi ne ha, e molti, come il suocero di Jerry, non se ne vuole separare nemmeno quando in gioco è la vita della figlia.
Non può capire, Marge: la tranquilla vita che conduce col marito Normand, la soddisfazione che entrambi sanno ricavare dalle piccole cose, sono quanto c’è di più lontano dalla brama di denaro degli altri personaggi. “Chi sta bene non cerchi il meglio” potrebbe essere il loro motto: e le cose a loro vanno proprio bene: perché si accontentano, perché non hanno inutili ambizioni. Marge inizia ad indagare su questo caso, e in breve lo risolve, nonostante sia al settimo mese di gravidanza, senza esibire grande intelligenza o doti investigative, ma unicamente perchè chi nel film commette un crimine lo fa senza la minima nozione di causa, come se stia facendo l’unica cosa possibile in quel momento. Peggiore della ferocia è proprio la stupidità, perché svuota di significato ogni azione, rende la violenza ancor più intollerabile.
Il ritmo del film sembra scandito dal cadere della neve: così come i dialoghi, spezzati, inframmezzati da lunghi silenzi. Il colore dominante è il bianco, ma quante volte esso, nel corso della vicenda, diventa rosso, quante volte la purezza della natura viene insozzata dalla follia dell’uomo! Il bianco è forse il colore della sonnolenta provincia, dei rapporti semplici e immediati dei suoi abitanti, mentre chi viene da fuori, dalla città, è portatore di instabilità, di disordine: anche l’ex compagno di studi che Marge incontra a Minneapolis è in realtà uno squilibrato.
Certe inquadrature dall’alto di distese innevate, dove l’uomo diventa un puntino, una macchia in movimento, sembrano ricordare ai personaggi, e a noi spettatori, quanto poco siamo, quanto piccoli, ma quanto pericolosi, se non riconosciamo questa piccolezza… che invece per altri, lungi da essere una mancanza, diventa fondamento della serenità.

Note: Ha vinto 2 Oscar nel 1996, miglior attrice Frances McDormand, miglior sceneggiatura originale.

• Vai alla recensione di L’uomo che non c’era

• Vai alla recensione di Prima ti sposo, poi ti rovino

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»