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cultura dell'immagine e della parola

L’eclisse di Salvatores

L'eclisse di Salvatores

Immaginate di nascondervi in una stanza dai muri di vetro. Immaginate di non saperlo e di trovarvi accovacciati, contenti dello spazio conquistato e della vostra condizione. Immaginate ora di scoprire che intorno a voi una fila di persone vi sta guardando, vi critica e si aspetta qualche gesto nuovo, ma che non sconvolga. Cosa fareste?
Ho immaginato Gabriele Salvatores così, rinchiuso in una parete trasparente in bilico tra quello che ha vissuto negli ultimi anni e quello che ha fatto, che non disdegna, ma che per certi aspetti non è più così vicino al suo modo di lavorare.
Amnèsia sembra così, un incrocio di personaggi, storie e parole che ricordano molto il suo vecchio stile, ma con forma nuova, un pò di maniera, che richiama molto “Nirvana” e “Denti”.
Abatantuono è l’immagine del Mediterraneo e dell’isola, il review dopo il racconto di Luce (Martina Stella) rimanda al finale, al contrario di Nirvana.

Tutti i personaggi si ritrovano a un funerale, tra di loro c’è Sandro, produttore di film porno e preoccupato per l’arrivo di Luce, la figlia diciassettenne e ignara del lavoro del padre; c’è Angelino, gestore di un bar a Ibiza, che per caso trova una valigetta piena di quattro chili di cocaina; c’è Jorge, ragazzo inquieto, figlio del capo della polizia.
Attraverso guerre familiari e una girandola di eventi, si ritroveranno alla discoteca Amnèsia ricongiungendo le storie, confrontandosi, distruggendosi.

Vittima forse di film “tarantiniani”, vittima di un’abile incrocio di storie come “Amores Perros”, Amnèsia soffre di certi manieristici giochi formali che cancellano o fanno dimenticare una sceneggiatura interessante, anche se in alcuni punti in caduta. Taglia e cuce flussi della mente, poi li dipana sotto un’eclisse, poi cerca di unirli nel finale in discoteca, infine cancella ogni difficoltà in un sereno e familiare finale.
Non è interessante lo sguardo di Martina Stella, che sembra chiusa tra il travolgente padre (Diego Abatantuono) e lo stupido Angelino (Sergio Rubini).
Non convince Jorge (Ruben Ochandiano); vittima dello stereotipo del giovane violento e inquieto, ricattatore del padre.
Non convincono certe scene quasi fasulle come le fughe in macchina, figlia-padre che si fumano una canna e sono contenti di essere così “intimi”, o il corriere di droga con la tipica camicia hawaiana, un po’ grasso.
Forse non convince il tutto, in realtà.
La vita è realmente così piena di situazioni incomprensibili e al limite dell’impossibilità o più vicina all’immaginazione della protagonista de “Il meraviglioso mondo di Amelie”?
Fondamentalmente è così: si rimane turbati da certe decisioni e comportamenti che si possono intraprendere, da alcuni gesti che si improvvisano e che sono assurdi, ma che talvolta diventano “normali” solo perché si vive sotto la propria esperienza.
Ma quello che mi domando è: riesco anch’io a sentirmi vicino a Luce che vuole riscattarsi dal padre “regalandogli” la possibilità di fare nuovamente il padre? Riesco a sentirmi vicino a Angelino che scappa da una montagna di sale inseguito da due malviventi?
La risposta sarebbe sì, se solo tutto mi avesse convinto di più.

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