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Falsi racconti di vita vera

Falsi racconti di vita vera

Le ultime produzioni di Tim Burton sono state delle mezze delusioni. Il mistero di Sleepy Hollow (USA, 1999) e Planet of the apes (USA, 2001) rimangono infatti apprezzabili per le straordinarie atmosfere che il regista californiano è sempre in grado di creare, ma non sono supportati da un’altrettanto degna parte narrativa.
Quello che serve a Burton è una storia solida da cui partire, per poi lasciarsi trasportare dal suo genio creativo. Con Big Fish ha avuto questa possibilità. Il romanzo di Daniel Wallace, adattato da John August, racconta le straordinarie avventure di un personaggio a metà tra realtà e fantasia, in un mondo surreale abitato da personaggi incredibili. Sembrerebbe la storia ideale per un film di Burton. E così è in effetti. Il regista di Edward mani di forbice è un maestro nel raccontare piccole favole che, nella loro semplicità, sappiano trasportare lo spettatore in un mondo immaginario, in cui non esistono differenze tra reale e fantastico. Il personaggio di Ed è esemplare in tal senso. Probabilmente non ha mai detto una sola cosa vera in tutti i suoi racconti, ma ogni storia nasconde una verità più profonda che inizialmente il figlio, giornalista legato alla verità fattuale delle cose, non riesce a comprendere. Tutto nei racconti di Ed è incredibile, ma chi ascolta le sue storie si deve mettere nello stesso atteggiamento di uno spettatore al cinema, deve cioè sospendere l’incredulità, lasciarsi trasportare da ciò che gli viene proposto, recepirlo con tutti i sensi e, solo alla fine, interpretarlo razionalmente.
Il modo stesso in cui Burton racconta tutto ciò, alternando le vicende fantastiche del passato del protagonista con quelle reali del suo drammatico presente, fino al finale in cui tutto si svela, mostra come la differenza tra realtà e fantasia sia labile e a volte non così importante da comprendere.
Se quindi la narrazione scorre rapida e avvincente, anche il resto di Big Fish convince appieno. Le ambientazioni, fantastiche e con tinte a pastello, possono ricordare le prime opere di Burton. I personaggi sono ben disegnati, con tratti netti e fiabeschi nel racconto, profondi e drammatici nella realtà, e ottimamente interpretati da un cast azzeccato non solo nella scelta dei protagonisti (Ewan McGregor e uno straordinario Albert Finney); ma soprattutto in quella dei comprimari, con Danny De Vito nei panni (pochi, per la prima volta appare nudo in un film) del direttore di un circo, con l’imperdibile Steve Buscemi in quelli di un folle poeta e con le stupende Helena Bonham Carter e Marion Cotillard che contendono a Jessica Lange il ruolo di primadonna. La colonna sonora infine, riesce a unire perfettamente brani del solito Danny Elfman, di Elvis Presley e dei Pearl Jam.
Un film da non perdere insomma, che piacerà a chi ha amato il primo Tim Burton, ma anche a chi semplicemente vuole passare un paio d’ore a sognare ad occhi aperti davanti ad un grande schermo.

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