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Seafood – Un pesce fuor d’acqua: Disney in salsa malese

Disney in salsa malese

Seafood non è, almeno apparentemente, un film per cui valga la pena spendere molte parole. Raro esempio di animazione non statunitense distribuito nel nostro paese, è una storia di amicizia e avventure per bambini, decisamente soporifera per chi abbia superato i dieci anni di età, caratterizzata da situazioni e personaggi stereotipati e convenzionali: la vecchia e saggia tartaruga, lo squalo divertente in stile Shark Tale, la murena malvagi a che riporta alla mente gli scagnozzi di Ursula, la strega cattiva del film Disney La sirenetta.

Nel suo divenire, la storia segue uno schema che non dà luogo a sorprese: anche nelle rocambolesche incursioni sulla terraferma di questi due pesci pasticcioni e dei loro amici, lo spettatore che non sia un bimbo potrebbe prevedere finanche le battute.

In questo prodotto commerciale e di consumo, disneyano nello stile, nella trama e nei tempi, brilla una fioca luce di sana follia che, se sviluppata adeguatamente, avrebbe dato a Seafood una dimensione ben diversa e, forse, nettamente migliore. Mi riferisco all’elemento horror – macabro, che più di una volta traspare nel corso del film, a partire dal design dei crostacei cattivi (orribili nel vero senso della parola) e a continuare con la personalità “spaventosa” e schizofrenica di Julius, squalo che divora allegramente e innocentemente i suoi amici, i quali vogliono (giustamente) sbarazzarsi di lui, malgrado una falsa simpatia di facciata.

Lo stesso insegnamento morale del finale, “non si mangiano mai gli amici”, al di là della sua demenzialità, si presta ad una interpretazione più affine allo humor nero che alla comicità spensierata, e sarebbe stato perfetto in un cartoon surrealista.

Ed è questo spiraglio di “politicamente scorretto”, impensabile in un film d’animazione disneyano, che salva in parte Seafood dall’essere una mera copia noiosa del suo modello di riferimento.

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