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Hunger Games: Che la fortuna sia con voi

Che la fortuna sia con voi

Dopo mesi e mesi di attesa arriva anche in Italia Hunger Games, da molti presentato come nuovo fenomeno in stile Twilight, con il quale però ha in comune assai poco, almeno a giudicare da questo primo episodio (sembra assai palese dal finale che ce ne saranno altri). Per chi fosse all’oscuro di tutto, in breve la pellicola è tratta dall’omonimo bestseller di Suzanne Collins – che per la cronaca ha collaborato alla sceneggiatura e compare anche tra i produttori esecutivi – ed è ambientata in un futuro post-apocalittico, in cui il Governo della nazione di Panem situato a Capitol City (realtà distorta e ipertrofica, ipercolorata e grottesca) domina indisturbato su 12 Distretti, dai quali preleva a sorte ogni anno, nel Giorno della Mietitura, due giovani tra i 12 e i 18 anni, un maschio e una femmina, che vengono costretti a partecipare agli Hunger Games, al grido di Che la fortuna sia con voi, sempre). Una sorta di reality a metà tra l’Isola dei Famosi e il Grande Fratello, con la sola differenza che tutti concorrenti muoiono tranne uno, il Vincitore (praticamente il reality che molti italiani vorrebbero vedere).

La premessa è interessante, perché parte da una realtà distopica ma molto vicina al nostro mondo: i temi messi in campo sono il confine tra vero e artefatto, tra realtà e finzione televisiva, tra pietas umana e disumana crudeltà, tutti visti dalla duplice prospettiva dei distretti periferici poveri e ancorati alla terra, e della capitale in cui tutti sono drogati di showbiz. La storia regge: c’è l’eroina di turno, Katniss Everdeen, del Dodicesimo distretto, che si offre volontaria per salvare la sorellina estratta dalla (mala)sorte per i giochi – una Jennifer Lawrence in gran forma, col piglio dell’amazzone – c’è il coprotagonista belloccio e sensibile, Peeta, con il quale sboccia l’amore; c’è anche sullo sfondo, un terzo del triangolo, l’amico speciale di Katniss rimasto nel dodicesimo distretto a fare da spettatore, anche se si intuisce che qualcosa accadrà (e forse lì si giocherà la partita dei prossimi episodi, sul peso che verrà dato all’elemento romantico). C’è un supercattivo interpretato da Donald Sutherland, un antagonista temporaneo che dura il tempo dei giochi e così via. E l’occasione mancata è forse proprio questa: avere a disposizione una bella storia e tanti personaggi che tuttavia restano superficiali, non riuscendo ad acquisire spessore nel corso della vicenda. Eccezion fatta (e neanche troppo) per Katniss, sulle cui spalle si regge e traina l’intero film, tutti gli altri appaiono e scompaiono dallo schermo senza lasciare una qualche traccia emozionale. Tuttavia la storia ha il suo fascino e viene narrata registicamente in modo non troppo classico: molti, a volte troppi, sono i movimenti della camera a mano, le inquadrature ravvicinate e traballanti che a fatica fanno capire cosa sta accadendo, la fotografia è adeguata all’habitat e allo svolgersi della vicenda.

Nonostante tutto il film non annoia e offre diversi spunti di riflessione: considerato il pubblico al quale è destinato non è poco. E il botteghino sta ripagando la fatica produttiva: il film, costato 78 milioni di dollari, ha stabilito il record per il miglior esordio negli Usa di un non-sequel con 152.5 milioni di dollari, registrando il terzo miglior dato di sempre dopo Harry Potter e i doni della morte: Parte II (169 Milioni di dollari) e Il cavaliere oscuro (158 milioni di dollari).

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