Elogio della femminilità
L’errore più grosso, messi di fronte a un film come questo, sarebbe quello di semplificarne il messaggio. Magari riducendolo alla semplice equazione che vede le donne portatrici di pace all’interno di un sistema maschio-centrico che si condanna da solo al conflitto senza una ragione ben precisa, solo per una questione di sfogo muscolare delle proprie tensioni interne. Certo, se guardiamo alla trama, questo non è un aspetto che possa essere trascurato. Abbiamo due comunità inizialmente capaci di coesistere senza farsi la guerra, per quanto il prezzo da pagare per questo equilibrio sia una separazione di fatto poco visibile (si può guardare la tv tutti insieme e i luoghi di aggregazione, dal negozio al bar, sono comuni) ma proprio per questo più inquietante (a ciascun gruppo religioso corrisponde uno spazio ben definito dove seppellire i propri morti). E infatti basta una voce che viene da lontano, e che parla di sangue versato, per portare a galla tutti i problemi in qualche modo accantonati. L’escalation di violenza, a quel punto, sembra inevitabile. E alla componente femminile del villaggio tocca il compito di provare a sedarla.
Ma? Ma stiamo parlando di un film eccellente. E allora, dietro al messaggio più evidente non è difficile trovare qualcosa di più. Anzi, molto di più. Nadine Labaki, giovane regista e splendida attrice libanese già forte del successo internazionale di Caramel, parte da questo spunto semplice, spinto volutamente verso l’archetipo (non sapremo mai in quale nazione è ambientato il film) per allargare il discorso a una ricognizione ampia sulla femminilità che è anche una prova di grande cinema, dove il dramma riesce a incontrarsi con la commedia senza che vi sia una sola screpolatura. A scene di dolore straziante si alternano gag leggere e momenti di delicata poesia. Il tutto reso possibile da un cast (formato in parte da attori dilettanti) perfetto nel portare sullo schermo la realtà come se fosse una fiaba, da una fotografia efficace e da una colonna sonora raffinata.
Una pellicola emozionante in senso pieno, ma soprattutto profonda. La figura femminile, al di là del suo potere salvifico, ci viene mostrata nella sua interezza: come motore sociale, oggetto del desiderio, tramite tra l’umano e il divino, madre e amica. Senza però che l’uomo diventi semplicemente la sua controparte cieca e testosteronica. A voler ben vedere, qui troviamo sia l’orgoglio dell’essere donna che l’orgoglio di amarla. Un discorso fortemente religioso, se vogliamo, come il tema impone. Ma trattato con una laicità che lo rende ancora più universale.
A cura di Marco Valsecchi
in sala ::