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Matrimonio a Parigi: una cinecastagnata indigesta

Una cinecastagnata indigesta

Preso atto dell’impossibilità di competere con la corazzata cinepanettonica guidata da Aurelio De Laurentiis e dall’ex amico e collega Christian De Sica, Massimo Boldi e la sua factory anticipano ulteriormente l’uscita del loro annuale film comico che dalle ultime settimane di novembre viene anticipato a fine ottobre. Questa è la novità più consistente di una pellicola come Matrimonio a Parigi, per il resto tristemente e irrimediabilmente uguale ai tanti altri prodotti comici creati appositamente per sfruttare il talento comico di Massimo Boldi. Un talento, va detto, ormai definitivamente consumato.

Matrimonio a Parigi, a modo suo, è una pellicola importante, perché segna un punto di non ritorno per un genere comico che da anni mostra la corda e la sua perenne mancanza di idee, freschezza inventiva e originalità. Difficile fare peggio di quest’ultimo film, in cui Boldi dimostra di aver fatalmente smarrito quel minimo di verve di cui poteva ancora poter far sfoggio. L’attore milanese appare ormai svogliato, stancamente ripetitivo nel suo riproporre per l’ennesima volta l’ennesimo personaggio macchietta cui capitano una lunga serie di guai e che giustificano una innumerevole serie di gag stra-abusate, trite e mestamente viste mille altre volte e straordinariamente incapaci di suscitare anche un accenno minimo di sorriso. Il film di Claudio Risi (figlio d’arte, ma non si vede) è un collage di già visto e già sentito, nel quale la volgarità la fa da padrona regalando momenti imbarazzanti di grossolanità stantia, battute riciclate, burlesque, evasori fiscali felici e contenti, gag verbali sui napoletani e i milanesi vecchie di almeno un paio di secoli e un cast mal assortito e abulico.

Boldi è nettamente il peggiore in campo, come detto, ma Massimo Ceccherini fa di tutto per non essere da meno, ormai inchiodato in una macchietta sessuomane e inconcludente. Delude Annamaria Barbera, il cui repertorio di storpiature linguistiche è ormai logoro e poco brillante, mentre Enzo Salvi fa la parte di Enzo Salvi: cafone, orgogliosamente burino e latore di scurrilità gratuita. Alla fine il migliore del cast risulta Biagio Izzo che, pur senza strafare, è l’unico che sembra metterci un po’ di impegno. Da dimenticare le prestazioni degli attori improvvisati presi a prestito dal mondo della televisione: da Raffaella Fico (ex Grande Fratello) a Diana del Bufalo (ex Amici) improponibili interpreti dalla dizione sgangherata e l’espressività vacua, passando per Rocco Siffredi che s’improvvisa stilista gay dall’improbabile pronuncia francese. I proseliti della comicità pecoreccia e inerme troveranno soddisfazione; tutti gli altri si annoieranno in attesa di un sorriso che in 94 minuti non arriverà forse mai,

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