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Memoria delle mie puttane tristi

Memoria delle mie puttane tristi

C’è perfino una citazione di Conrad, nell’incipit (“Non è necessario credere in una fonte sovrannaturale del male: da soli gli uomini sono capaci di qualsiasi malvagità”): teniamola buona per la chiusa. E i titoli di testa che, memori della lezione (?) di Tarantino e Rodriguez e i mostri da loro indirettamente creati, propongono una carrellata Sixties di eroine soft-porn in celluloide. È un citazionismo ostentato e orgogliosamente ingenuo la marca stilistica di Bitch Slap, arrivato nelle sale con i canonici due anni di ritardo rispetto agli Usa. Tanto che differenza fa?

Rick Jacobson (all’attivo dei b-movie ed episodi di Baywatch: quando hai il decolleté nel destino) dirige un action-splatter caciarone e volgare, che ha la sua forza e la sua condanna nell’essere un omaggio a quel cinema che ebbe in Russ Meyer (Faster pussycat! Kill! Kill!) il vate, ma anche al filone sex-ploitation che fa convivere in modo sublime maggiorate, violenza x-rated – cat-fighting all’ordine del giorno – e pure una morale a uso e consumo dello spettatore. Explosions & Boobs. Dire altro del film è inutile per il semplice motivo che si finirebbe per camminare in precario equilibrio su quel sottile filo che divide l’elogio sperticato dell’operazione cinefila e la stroncatura non tanto del b-movie, quanto proprio della sua copia carbone. Due parole vale spenderle, una volta tanto, sulla trama. Bitch Slap vede nel prologo le tre protagoniste (Hel la mente, la sboccata Camero e la svampita Trixie) arrivare nel deserto per torturare il losco Gage e soffiargli il bottino che questi ha a sua volta nascosto al boss, il malvagio e misterioso Pinky, sorta di Keyser Söze con katana e lunga chioma che, al pari di Voldemort, nessuno vuole manco nominare. La location sperduta diverrà l’ancora per una serie di andirivieni temporali sempre più a ritroso (piccoli ‘quadretti’ girati su green screen – i fondali sono talmente posticci e le esplosioni delle bitmap senza religione che capisci che di scelta estetica (!) si tratta) che sveleranno l’antecedente della vicenda a colpi di scena e reciproci inganni. Uno schema simile a Memento che nulla aggiunge al pout-pourri ma un minimo di interesse dà alla pellicola, almeno per capire se c’è un limite: più che sul ‘cosa’ accadrà (l’avrete capito chi è ‘sto Pinky…), il focus è sul ‘come’.

Poi ci si potrebbe soffermare sul ri-uso dello split-screen, dell’Ave Maria di Schubert arrangiata per lo strip-club, della violenza as-so-lu-ta-men-te ingiustificata in alcuni frangenti, del fatto che forzature lesbo, upskirt e procacità varie facciano sembrare Sucker Punch casto oltre che un capolavoro (Snyder, un giorno verrai rivalutato) e che nel finale vengano tirati in ballo pure Cosimo de’ Medici e Sun-Tzu. Ma… no. Quello che colpisce è il senso di epicità e l’amara riflessione sulla natura umana che, finale in stile I soliti sospetti a parte, ti prende mentre ripensi a una battuta delle superdotate: “Perché? Perché siamo tutte puttane, alla fine”. Guardatelo: se pure questo cinema fa questo effetto un motivo ci sarà. O almeno fatelo per Conrad. Per Schubert. Pure per Zack Snyder, vah.

Curiosità
Rick Jacobson ha al suo attivo alcuni episodi di serie tv (Xena – Principessa guerriera, Spartacus: Blood and Sand ed Hercules): infatti nel film c’è un cameo dell’Ercole televisivo, Kevin Sorbo.

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