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Un tranquillo weekend… di lavoro

Un tranquillo weekend… di lavoro

Cedar Rapids (idem, 2011) è un film che colpisce per la sua forte onestà. Si spinge talmente tanto sull’acceleratore dell’onesta, appunto, fino a toccare, senza mai superare, i limiti del patetico. Il regista Miguel Arteta non ha alcuna vergogna nel mettere a nudo, con garbato sarcasmo, sia la distanza che separa culturalmente la provincia americana dalla città, sia la superficialità sostanziale della vita dell’uomo qualunque. Quando quest’ultimo, rappresentato dal protagonista Ed Helms, vedrà il proprio vaso traboccare, si vedrà costretto a tirare le somme della propria esistenza e a fare i conti con le proprie lacune sociali o con i vizi indotti da una profonda insoddisfazione.

C’è una sequenza del film in cui Arteta sveste letteralmente i protagonisti dei loro abiti “da lavoro” e li fa tuffare, complice la sbornia, in una piscina, sebbene un cartello avverta chiaramente che a quell’ora l’ingresso è severamente vietato. Al di là dell’effetto comico, si tratta di un momento di liberazione: per i tre coprotagonisti Joan, Dean e Ronald è l’abbandono della maschera “istituzionale” diurna, mentre per il protagonista Tim coincide con il superamento delle remore derivate da un infantile pudore. La prima a svelarsi, dopo la scena del bagno, sarà Joan, che confiderà a Tim il vero scopo di quei convegni di lavoro, che sono per lei un modo per evadere dalla routine familiare e dal grigiore della vita quotidiana. Ma il tuffo in piscina equivale, per Tim, a una sorta di battesimo: l’ingenuo ragazzotto di provincia, pesce fuor d’acqua nell’inesplorato mondo esterno, varca finalmente la soglia che lo legava ancora alla sua adolescenza e al microcosmo della sua Brown Valley. Il giorno seguente Tim farà la dolorosa scoperta che per avere successo nel lavoro è lecito, se non profittevole, “barare”.

Cedar Rapids sfoggia un ventaglio di attori di indiscussa bravura, anche se finora poco sfruttati in tutte le loro potenzialità. Ed Helms, alias Tim Lippe, nel cast della serie americana di The Office e già nel ruolo del dentista Stu in Una notte da leoni (The Hangover, 2009), porta ai limiti estremi l’ingenuità del personaggio che l’ha reso famoso, ma riesce a renderlo tristemente credibile. In lui serietà e comicità coesistono e dipendono l’una dall’altra, dando vita a personaggi sinceri e cinematograficamente ben delineati nelle loro ansie, paure e idiosincrasie, declinate, naturalmente, in chiave comica.

Dietro all’apparente forma di commedia indie, focalizzata sugli strati sociali snobbati dal cinema main stream e, in particolare, su casi comicamente “borderline”, il film nasconde un sottile attacco al mondo delle assicurazioni, alla religione, alla perfetta vita dell’americano medio e all’apparenza che governa il mondo e distrugge le relazioni umane. Cedar Rapids dice che il mondo del lavoro è corrotto, che la città annebbia l’anima e i sentimenti puri, che se stai al gioco vivi, ma se non ci stai sei tagliato fuori. Il messaggio sembra andare di pari passo con una fotografia che puzza di stantio, tanto i colori privilegiati sono il grigio, il marrone e l’ocra. Ma il film è sostanzialmente di buon auspicio per chi decide di non uniformarsi al gruppo: basta avere la pazienza di vedere scorrere i titoli di coda. Insomma, Cedar Rapids non è un film facile, a dispetto delle apparenze. Sarà forse questo il motivo per cui la sceneggiatura di Phil Johnston è rimasta per due anni nella blacklist di Hollywood?

Curiosità: In una scena del film Ronald Wilke, interpretato da Isiah Whitlock Jr., improvvisa delle battute prese a prestito da Omar Little, personaggio della serie Tv The Wire. Nella realtà, Isiah Whitlock Jr. ha lavorato nella serie cult scritta da David Simon nel ruolo del corrotto senatore Clay Davis.

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