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The Killing – Chi ha ucciso lo spettatore?

La visione è sfuocata, troppo ravvicinata. Le immagini dell’omicidio di Rosie appaiono come flashback improvvisi, arrivati chissà come nella testa del detective Linden. E lei non è altro che un enigma, una protagonista che sfugge, una bellezza che al contempo respinge: una mano su un volante, uno sguardo di ghiaccio, lanciato oltre un lago, a escludere e dare le spalle agli spettatori.

The Killing in queste tredici settimane, ha monopolizzato l’interesse di moltissimi dei nuovi consumatori di serie televisive, quelli che cercano in rete, e non più in televisione, i propri svaghi seriali. Un thriller prodotto dalla Fox e basato sulla serie danese Forbrydelsen del 2007, quasi un reboot più che un remake (oltre ai nomi, che dal danese all’inglese quasi non cambiano, anche i personaggi si assomigliano fisicamente, come pure alcune scene e inquadrature): la storia si concentra sulle indagini condotte dalla detective Sarah Linden e dal collega che dovrà sostituirla Stephen Holder, sull’omicidio della giovane Rosie Larsen. E durante questa caccia all’assassino di 13 giorni, che corrispondono alle 13 puntate della prima serie, si seguono le vicende personali dei due poliziotti, quelle della famiglia straziata dalla morte di Rosie, e quelle di personaggi che iniziano a gravitare attorno all’inchiesta e che diventano sempre più ambigui e oscuri.

La serie americana è stata paragonata a Twin Peaks, forse sull’onda alta dell’entusiasmo. Ma in effetti The Killing è stato venduto e promosso ammiccando alla serie storica di David Lynch: già la locandina del canale che l’ha trasmessa negli Usa, AMC, è piuttosto esplicita: il volto di Rosie, in bianco e nero, e la scritta rosso sangue sopra che recita “Who Killed Rosie Larsen?”. Un omaggio, un tentativo di affiancare i due prodotti televisivi: atmosfere fredde, boschi misteriosi, detective geniali ed eccentrici. Ma l’elemento disturbante di Twin Peaks, in The Killing si trasforma semplicemente – ma non semplicisticamente – in un sottile gioco di punti di vista e di verità celate. Sviluppata da Veena Cabreros Sud (già executive producer di Cold Case, altra crime series con protagonista una detective donna) funziona come una macchina da guerra. Il metodo di visione attraverso cui gli spettatori penetrano nella trama è esplicitato esattamente nell’ultima scena della sigla iniziale: Sarah di spalle è il nostro punto di vista. Lei è l’occhio attraverso cui conosciamo il mondo ed è un occhio chiaramente parziale, e scomodo. La sua conoscenza delle dinamiche dell’omicidio è in divenire e non onnisciente, mette lo spettatore in una posizione debole e vulnerabile, non permette di vedere “oltre di lei”. Come lei, anche noi ci sbaglieremo, faremo congetture, verremo ingannati, avremo l’impressione di sciogliere il mistero. Molto del gusto di seguire una produzione seriale di genere thriller sta nel piacere del dubbio, proprio come è basilare per un horror incutere paura nel proprio pubblico.

Ma Sarah è anche una protagonista che rimane “di spalle”, un personaggio che non si mostra, con il quale è difficile identificarsi: ombrosa, lunatica, sfuggente, sappiamo qualcosa di lei solo a tratti e quello che scopriamo non è del tutto positivo. È una donna che mette in conflitto lavoro e vita famigliare, una madre e un’amante assente, che ha un passato difficile, che nasconde il suo volto e ci lascia da soli. In questo modo The Killing evita di prendere per mano il suo spettatore. Cerca in ogni modo di lasciarlo sempre più da isolato, senza qualcuno a cui ancorarsi, perché ogni personaggio riesce a cambiare di continuo pur rimanendo credibile, girando la faccia dall’altra parte e mostrando un lato inedito e controverso.

E le certezze crollano invece che aumentare, sicuramente a beneficio della seconda stagione. Ma The Killing fa comunque del principio di dissoluzione la sua forza: l’integrità dei personaggi si sgretola (dal poliziotto Stephen al padre di Rosie, [img4]Mitch, dal politico del rinnovamento Richmond alla buona zia della vittima, Terry), le famiglie si spaccano (quella di Rosie, lacerata, quella del professor Bennet, minata dal dubbio e dalla violenza, quella di Richmond, una doppia famiglia, sentimentale e lavorativa, entrambe appoggiate su un terreno franoso, quella di Jack, il figlio di Sarah, cresciuto senza il padre), amori che si sciolgono (Sarah che sembra abbandonare il suo fidanzato, Gwen Larsen, madre della Rosie, che lascia soli i figli e il marito). L’ultima puntata ha preparato un gorgo in cui gettare lo spettatore, che si ritrova a precipitare nell’incertezza. Che l’omicidio a cui il titolo fa riferimento sia proprio quello del pubblico? Tirato in mezzo alla narrazione e poi preso a botte. Con sommo piacere.

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