Una risata vi seppellirà
Si dice che un trauma sia superato solo quando è finalmente possibile riderne senza suscitare scandalo. Forse non è vero, e del resto della pomposa e fallimentare “guerra al terrore” messa in opera dall’Occidente dopo il 2001 c’era chi aveva già avuto il coraggio di farsi beffe ben prima di oggi. Sta di fatto però che, a dieci anni dalla data spartiacque dell’11 settembre, ci voleva proprio un film come Tere Bin Laden che si prendesse gioco senza ritegno del tema, e lo acquisisse come un puro pretesto per una farsa demenziale, tanto ingenua quanto fresca e dinamica dalla prima all’ultima scena. Un film così, ovviamente, non può ancora essere girato in America, e infatti gli Usa lo hanno rifiutato, ufficialmente solo per ragioni commerciali; e allo stesso modo non è stato bene accolto, anzi non è stato accolto per nulla, nei paesi del Medio Oriente e in Pakistan (ma qui forse si tratta più di campanilismo, visto che l’indianissimo Abishek Sharma non è per nulla tenero nel dipingere gli odiati vicini).
Eppure il fatto che la pellicola sia stata girata in India è un dato puramente marginale: se non fosse per il Bollywood-style che emerge dai balletti e dalle coreografie utilizzate nei titoli di testa e di coda, oltre che in qualche breve scena del film (ma in modo brillante e consapevole, assolutamente non fastidioso), non ci si renderebbe neppure conto delle sue origini. Per dirla tutti, Tere Bin Laden sembra proprio il film che Adam Sandler, o un Ben Stiller in fase particolarmente demenziale, vorrebbero girare ma non si possono permettere. Il tipo di comicità scelto dal regista, anche sceneggiatore, non è in effetti molto distante da questi modelli: recitazione sopra le righe, esasperazione dei caratteri e dei luoghi comuni, nonsense e surrealismo, gag slapstick. A tratti, bisogna dirlo, gli ammiccamenti e gli sguardi in camera, soprattutto quelli del protagonista (un istrionico Ali Zafar, al suo debutto da attore dopo una brillante carriera da cantante in Pakistan), finiscono per risultare esasperanti. Ma per la maggior parte del tempo il film fa genuinamente sbellicare dalle risa, grazie a una trama serratissima, imperniata sui più classici meccanismi della commedia degli equivoci, e a un’irresistibile galleria di personaggi / macchiette: straordinario il finto Bin Laden, innamorato dei suoi galli e della bella truccatrice, ma eccellente anche il deejay “alternativo” che lotta contro il capitalismo, e persino i classici agenti segreti pasticcioni, benché visti e stravisti, riescono a strappare una risata.
La satira, siamo d’accordo, è di grana grossa, ma colpisce quasi sempre nel segno: davvero una perla, ad esempio, l’“agenzia viaggi” frequentata dal protagonista che al tempo stesso fabbrica passaporti falsi e scrittura aspiranti mujaheddin. Per non parlare della scena iniziale, che ironizza senza pudore sulle paranoie legate ai viaggi in aereo, e dei messaggi inviati dal Bin Laden fasullo a un Bush che si immagina intento a divorare cibi grassi e unti e specchiarsi in fontane d’olio. Insomma, è davvero un mistero come un film simile possa essere considerato degno di censura. Che peraltro è stata prontamente aggirata: Tere Bin Laden è già disponibile in versione integrale su YouTube, naturalmente sottotitolato in inglese. Evidentemente anche gli americani hanno ricominciato a ridere di se stessi e del loro rapporto con il terrorismo, il che non significa affatto dimenticare.
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i dispersi ::