hideout

cultura dell'immagine e della parola

L’incastro perfetto

L’incastro perfetto

La trappola tesa da Natalia Smirnoff agli spettatori è davvero perfida: con il suo stile da filmino amatoriale anni Ottanta fa credere a tutti di assistere alla consueta commedia sentimentale sulla crisi di mezza età di una casalinga un po’ all’antica, e invece sta scavando in profondità nei meandri della mente umana, portando affabilmente alla luce le manie e le idiosincrasie che si annidano nel nostro cervello. Salvo poi scoprire, alla conclusione della vicenda, che l’oggetto del film era forse proprio quella “classica” crisi di mezza età, ma spiata da un punto di vista talmente inconsueto e personale che l’accusa di banalità è davvero l’ultima che sia possibile rivolgere all’opera. Di fatto, al primo lungometraggio della regista argentina, presentato in concorso a Berlino, si può perdonare qualunque cosa; perché questo è un film che non arriva mai a scatenare la risata del pubblico, ma che in compenso, grazie a un innato senso dell’ironia e a un umorismo garbato e raffinato, si lascia guardare dal primo all’ultimo minuto con un unico sorriso stampato sul volto.

“Delizioso” è l’aggettivo che più si attaglia all’opera: una successione di scene che coniugano alla perfezione divertimento e riflessione sulla psiche umana, senza mai scadere nel didascalico né tantomeno nel melenso. Su tutti giganteggia ovviamente la figura della protagonista, interpretata da una straordinaria Maria Onetto, capace di esprimere un’incredibile varietà di emozioni semplicemente inarcando un sopracciglio; l’identificazione con il suo personaggio, che in una vita di immutabile normalità scopre un’improvvisa e irresistibile vena di follia, è praticamente automatica. Persino il fatto che anche agli altri interpreti del film venga attribuita una qualche fissazione o psicosi, che potrebbe sembrare un banale espediente buonista e “piacione”, diventa in realtà un altro asso nella manica della Smirnoff, perché la dose di umanità e realismo insita nei personaggi è tale da cancellare istantaneamente ogni dubbio.

Al servizio di questo “gioiellino” c’è uno stile a sua volta caratteristico fino al paradosso: l’ossessione della regista per primissimi piani e dettagli e per uno stile amatoriale un po’ vintage è quasi pari a quella del suo personaggio principale per i puzzle. Ne risulta un film tanto intimo e minimalista che, se non fosse per qualche significativo dettaglio (il “derby” tra Boca Juniors e River Plate, la citazione di alcune fermate della metropolitana e il breve viaggio in campagna dei due coniugi), diventerebbe impossibile rendersi conto dell’ambientazione nella capitale argentina. Persino l’unica, castissima, scena di nudo nasce in realtà dall’assemblaggio di una serie di piccoli particolari del corpo della protagonista: un mosaico, o per dirla in altri termini un puzzle. È anche grazie a questi riuscitissimi accorgimenti che Rompecabezas riesce nell’impresa di trattare temi tutto sommato banali come problemi coniugali, rapporti tra genitori e figli o semplici capricci e insoddisfazioni personali senza evocare neppure per un istante luoghi comuni o sensazioni di “già visto”. Grazie alle qualità tecniche, alla recitazione, alla regia, ma certamente anche al concetto che sottende a tutto il film: la visione dell’esistenza come un rompicapo, costantemente sorprendente e di difficile risoluzione.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»