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Giuda Ballerino, Dylan Dog è un manichino?

Le trasposizioni cinematografiche dei fumetti non sono certo una novità per i cinefili: ci hanno dilettati con i vari Spider-Man e con Hulk, ci hanno stupito con V per Vendetta ed emozionato con Persepolis. Mai però, fino ad ora, ci avevano deluso così profondamente come con Dylan Dog – Il film.

Dylan Dog nasce nel 1986 dalla brillante mente di Tiziano Sclavi, ha 33 anni e per professione fa l’investigatore dell’incubo. Questo ex poliziotto di Scotland Yard vive nella Londra del XX secolo con un amico-domestico-aiutante sui generis, sosia e omonimo del comico Groucho Marx. Dylan conserva uno stile retrò vagamente avverso alle moderne tecnologie, suona il clarinetto, scrive su diari di carta con una penna d’oca, guida un vecchio maggiolino cabrio ed è dotato di un innato quinto senso e mezzo. La sua vita è costellata di misteri e di segreti, alcuni dei quali rimarranno per anni a lui stesso ignoti. Indagando tra gli orrori o addentrandosi nei sogni, il protagonista, vignetta dopo vignetta, riuscirà a dipanare l’attorcigliato filo della propria storia. Nei quasi 300 albi pubblicati dalla Sergio Bonelli Editore, Dylan si deve confrontare con mostri, vampiri, streghe, maghi, mondi paralleli, sensitivi e fantasmi, essendo costretto ad indagare non solo sulle paure e sugli incubi dei suoi clienti (quasi sempre splendide donne), ma anche sui propri. Ciò che si scopre alla fine è che i veri mostri sono la violenza, l’indifferenza e l’odio di cui è impregnata la realtà, senza necessità di andare a cercare tra i misteri dell’occulto, che pure la circondano.

Da questo affascinante mondo di carta Kevin Munroe estrapola il suo Dylan Dog cinematografico. Ci si potrebbe lamentare perché l’ambientazione è spostata da Londra a New Orleans, per l’assenza dell’ispettore Bloch, per la sostituzione di Groucho con il novello zombie Marcus (in America, per problemi di copyright con gli eredi dei fratelli Marx, anche nel fumetto Groucho non appare mai) o per il fatto che il maggiolino dell’eroe è bianco con la cappotta nera e non al contrario. Ma queste sono solo frivolezze e c’è di peggio: il Dylan del grande schermo è uno brachicefalo ammasso di muscoli, i dialoghi e l’aspetto recitativo sono infimi, la storia viene ridotta a un accozzaglia di licantropi e vampiri che pare un minestrone mal fatto tra Blade, Underworld e Buffy. In questo scenario decadente si salva solo il povero Marcus, inizialmente malvisto perché usurpatore di Groucho, in realtà unico elemento capace di strappare un sorriso all’annoiato spettatore.
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Nel panorama fumettistico la storia di Dylan Dog è una tra le più complesse e intriganti, indovinata combinazione di noir, ironia, pathos e magia. Privato di questi elementi, il personaggio perde tutto il suo fascino: e allora a chi può piacere quindi un film così? Non certo ai fan dell’albo che odieranno questa versione per molti aspetti “apocrifa” e oltretutto senza alcun appeal. Ma neppure gli amanti più in generale dell’horror o del thriller troveranno qualcosa per cui valga la pena: troppo piatto emotivamente, troppo povero tecnicamente e troppo scontato per sceneggiatura. Come ne possa essere uscito un film tanto insignificante rimane un mistero su cui bisognerebbe indagare.

Dylan Dog, fumetto di Tiziano Sclavi, dal 1986
Dylan Dog – Il film, regia di Kevin Munroe, 2010

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