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Il kitsch oltre la siepe

Il kitsch oltre la siepe

Dopo aver visto Shrek 2 (2004) – l’episodio più riuscito e divertente del franchise dedicato all’orco di Molto Molto Lontano – da un animatore del calibro di Kelly Asbury ci si aspettava qualcosa in più. Niente da eccepire per quel che riguarda l’aspetto tecnico e la qualità dell’immagine animata: i movimenti sono fluidi e corposi, i dettagli più infinitesimali curati alla perfezione (si veda l’effetto della terracotta dipinta sulle braccia di Giulietta o l’attenzione a piccoli particolari come la pittura scheggiata sui corpi degli gnomi), l’espressione dei visi “naturale” e convenzionale (si potrebbe fare un elenco delle espressioni, dal cipiglio all’alzata di spalle al sospiro, riciclate da un film d’animazione all’altro, in quanto appartenenti ad un preciso campionario dell’espressività che caratterizza lo stile di uno studio).

Ciò che lascia decisamente delusi da Gnomeo e Giulietta è la trama che, a dispetto della legione di sceneggiatori elencati nei titoli di coda, appare banale e infantile, più adatta ai bambini che al pubblico di ragazzi e adulti che, grazie anche a film come Shrek, hanno preso gusto ad accostarsi ad animazioni “per grandi”, caratterizzati da una ironia arguta e dalla de-infantilizzazione dello stile e del linguaggio di questo genere cinematografico (non che ci fosse bisogno di Sherk e affini per de-infantilizzare il cinema d’animazione, dato che quest’ultimo non è mai stato ad esclusivo appannaggio dei pargoli. Ma questa è un’altra faccenda). Chi si aspetta, dunque, una frizzante versione in chiave comica della famosa tragedia shakespeariana si troverà di fronte a una storiellina adatta per passare una serata in cui non si sa che cosa fare o per far star calmi i propri figlioletti (dato che l’ironia non va oltre il livello di battute tipo «Io non sono illetterato perché vado sempre a letto»), condita da un doppiaggio che banalizza una trama già sciocchina, rendendola una specie di lotta tra nord e sud (dato che i blu a cui appartiene Gnomeo parlano con un accento decisamente veneziano, mentre i rossi della fazione di Giulietta un mix di siciliano e napoletano).

Gli stessi personaggi risultano incolore, malgrado il contesto decisamente kitsch in cui sono inseriti: i bulli sono stupidi, le spalle comiche inutili e irritanti, i protagonisti, Gnomeo e Giulietta, sono i classici protagonisti delle storie Disney, lui coraggioso e un po’ impacciato, lei forte e dolce al tempo stesso. Se con Gnomeo e Giulietta Kelly Asbury abbia desiderato intraprendere un’operazione simile a quella intrapresa con Shrek 2, ovvero una desacralizzazione del mito della favola qui applicato alla più famosa delle tragedie, ebbene, avrebbe dovuto far molto di più che cambiare il finale della storia in un “volemose bene” di terracotta e cappuccetti colorati, tra l’altro così scontato che si potrebbe andar via dalla sala a metà film senza perdersi assolutamente nulla e risparmiandosi, in più, la statua di Shakespeare che parla con uno degli accenti inglesi più bislacchi e irreali mai sentiti. Per chi decida di rimanere sino alla fine, c’è una magra consolazione: ogni tanto si ridacchia. E, cosa più importante, se escludiamo il piccolo cameo dello gnomo Elton John, i personaggi non cantano. Scelta davvero rivoluzionaria per un film targato Disney.

Curiosità
Nella versione originale le voci sono di Emily Blunt, James McAvoy, Michael Caine, Patrick Stewart, Maggie Smith, ovvero da attori inglesi di grande caratura e esperienza teatrale che potessero donare un vero accento shakesperiano, affiancati anche da Jason Statham, Ozzy Osbourne e pure Hulk Hogan. Da noi l’uso dei dialetti ha banalizzato ed eluso totalmente questo effetto.

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