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Boxe, amore e famiglia

Boxe, amore e famiglia

The Fighter, con le sue sette candidature all’Oscar (tra cui film e regia) e due statuette portate a casa, è uno dei casi cinematografici dell’anno. La sua direzione fu dapprima assegnata a Darren Aronofsky, reduce da The Wrestler, poi in realtà solo produttore esecutivo. Ad ogni modo partiva con tutte le carte in regola per essere un buon film e fortunatamente non le ha sciupate.

La regia di David O. Russell è sempre sobria, mai sopra le righe, con molta camera a mano: tutto come ci si aspetta da un film sportivo. La sceneggiatura mette in evidenza, oltre agli inevitabili cliché del genere – un perdente in partenza e infine campione, un duro allenamento, una donna di mezzo -, anche alcune interessanti riflessioni sulla famiglia, sul suo ruolo nell’emancipazione di un suo membro, ma pure nella repressione di ogni stimolo proveniente dall’esterno. Per non parlare del cast: due Oscar, uno per Christian Bale, una summa umana di tutte le espressioni e mimiche facciali concepibili, e l’altro per Melissa Leo, madre matrona con una concezione morbosa e aggressiva del legame familiare e che non a caso è costantemente circondata dalle sue sette figlie; degne di nota anche le interpretazioni di Mark Wahlberg, con tutta la sua fisicità, candidato al Golden Globe per il miglior attore protagonista, e di Amy Adams: per lei terza candidatura all’Oscar dopo Junebug e Il dubbio.

David O. Russell sembra abbandonare il tono sarcastico e corrosivo che lo aveva contraddistinto in Three Kings per girare la solita storiella edificante sulla “seconda possibilità” made in Usa. Ma lo spirito di protesta e critica sociale si fa sentire con forza nell’impietoso ritratto della comunità cittadina di Lowell, Massachusetts, fotografata senza pietà in tutte le sue piccinerie, il suo sparlare, la sua immobilità, i suoi bassifondi. Un macrocosmo, quello di Lowell, che si incarna al meglio nel microcosmo famigliare di Micky e Dicky: quest’ultimo dipendente dal crack e costantemente fatto, con una madre tiranna sbraitante etilista e un branco di sorelle cerebrolese. Ma come Lowell infine si dimostra una cittadina fiera, seppur nei suoi innumerevoli vizi (come dimostra la tirata finale di Dicky, “una volta ero io l’orgoglio di Lowell, ora lo è mio fratello”), così anche l’ottusa famiglia Ward/Eklung, che vede negli estranei solo inganni e interesse, alla fin fine vuole soltanto il bene per i suoi figli: la famiglia è pressoché necessaria nel processo di realizzazione personale, ma del tutto inefficace quando si ritiene la sola salvezza.

Curiosità
Il film tratta della storia vera del pugile Micky Ward e del fratellastro Dicky Eklung, con tutti i suoi problemi di droga e i suoi scandali.

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