Il fiore tra le rocce
Hollywood da sempre racconta una terra di promesse, il paese delle opportunità e dei sogni raggiungibili. Quando narra la decadenza della civiltà, la mostra attraverso motel sporchi e cowboy attaccati alla bottiglia, criminali del ghetto e bettole da quattro soldi. Daniel Woodrell, l’autore del romanzo Un gelido inverno, descrive invece una realtà poco conosciuta degli Stati Uniti: la povertà estrema di un territorio impervio e dalle aspre condizioni climatiche. La comunità degli Ozark è una combinazione di boschi secolari e laboratori di raffinazione della coca, in cui il destino del singolo dipende da un codice tribale che va oltre le semplici regole del narcotraffico.
La potenza evocativa di questo affresco rappresenta il nucleo dell’opera che Debra Granik ha portato sulle scene, celebrata al Sundance Festival del 2010. La regista si sofferma a lungo su case diroccate, rifiuti sparsi ovunque, natura selvaggia e volti segnati dalla disperazione. Non vi è né lentezza esasperata né concitazione nel dipingere la quotidianità o il crescere del dramma. La storia della diciassettenne Ree, costretta a educare da sola i due fratellini badando alla madre disabile e affrontando i morsi della fame, suscita pietà ma anche stupore. Non si tratta di un paese in via di sviluppo, ma di un luogo posto nel cuore del mondo civilizzato, dove tuttavia le leggi vengono continuamente distorte. La protagonista, interpretata da una straordinaria Jennifer Lawrence, si scontra fisicamente ed emotivamente con i paletti posti dalle usanze locali, espressioni della misoginia e dell’arretratezza culturale. Ree si divide tra la strenua ricerca del padre e l’insegnamento delle basi della sopravvivenza ai bambini, affrontando violenti spacciatori nel primo caso e mostrando come sparare nel secondo. Emerge qui un’idea di famiglia complessa, espressa dall’intensità del legame con i parenti stretti ma anche dalla diffidenza verso chi è al di fuori di tale circolo ristretto. La ragazza non trova sostegno da parte dei numerosi cugini e parenti acquisiti, se non dal temerario zio Lacrima (John Hawkes) che per questo si attira gli odi di tutta la comunità. Per quanto forte e determinata, un’adolescente non può combattere da sola le regole della società in cui vive e se ne renderà conto a proprie spese. Nonostante ciò, la sottile speranza di un futuro migliore trapela tra le righe di questo prodotto insolito e suggestivo il cui successo si basa sull’efficacia descrittiva.
La Granik è promotrice di un cinema indipendente ma non snob, che attraverso questo film si dedica a scardinare diversi miti popolari, tra cui quello del locus amoenus. Il paesaggio incontaminato non fa da cornice a un paradiso rurale dominato dalla genuinità dei rapporti umani. Sono proprio le precarie condizioni ambientali a rendere ancora più depressa una zona che pare dimenticata da dio. Un gelido inverno non è sterile retorica o esercizio di stile, bensì una finestra realistica sul disagio di chi vive in condizioni estreme.
Curiosità
La pellicola è candidata a quattro premi Oscar tra cui quello per il miglior film, migliore attrice protagonista, migliore attore non protagonista, migliore sceneggiatura non originale.
A cura di Claudia Beltrame
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