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Lilliput versione pop

Lilliput versione pop

Ennesima trasposizione cinematografica del classico di Jonathan Swift del 1726, I fantastici viaggi di Gulliver ricicla e saccheggia la nota storia adattandola ai nostri tempi e diluendone, fino a disperderla, la carica satirica. Un film leggero, ma godibile, addirittura comico in certi punti, con personaggi buffi e due abbozzate storie d’amore platonico. Target, com’è ovvio, la famiglia. Dai lungometraggi di animazione alla nuova pellicola, il passo è quindi breve per il regista Rob Letterman.

Gli effetti speciali sono curati dal team della Hidraulx dei fratelli Strause (ultimamente cimentatisi anche nel ruolo di registi), mentre le interpretazioni sono affidate ad attori e caratteristi habitué del genere commedia, a partire dal protagonista Jack Black, nella sua mise adolescenziale e nelle sue forme oversize, caratteristico nei suoi atteggiamenti buffoneschi e nel tipico gigioneggiare che ben si addice a film di medio livello. Il corollario di attori che accompagnano Black-Gulliver prima e durante il suo immaginifico viaggio vanno dai lillipuziani Emily Blunt (che ricorda nei modi la Daphne Zuniga/Principessa Vespa di Balle spaziali – Mel Brooks, 1987) e Jason Segel fino alla solare Amanda Peet, giornalista di un quotidiano newyorkese segretamente amata da Lemuel Gulliver. Anche se la satira manca, la farsa regna sovrana nel paese di Lilliput, che grazie all’intervento del “gigante” Gulliver si trasforma da casto e pudico regno a paese dell’eccesso, in cui viene riprodotto l’aspetto più kitch della Grande Mela. Gulliver, a sua volta, diviene l’eroe proveniente dall’altro mondo, il salvatore dei Lillipuziani minacciati dai bellicosi Blefuschiani: lui, che era partito da New York come semplice e poco ambizioso smistatore della posta nella redazione di un quotiano, diventa, finalmente, ma con l’inganno, una persona importante. Con l’intervento di Gulliver, Lilliput si traduce, invece, in una summa dei cliché culturali e non della terra, naturalmente in dimensione ridotta: si passa dalla rappresentazione teatrale di Guerre stellari e Titanic alla riproduzione “vivente” del videogame Singstar targato Sony, con i piccoli lillipuziani che abbandonano gli abiti settecenteschi per vestire quelli dei Kiss. La dichiarazione d’amore di Segel-Horatio alla Principessa Mary è, invece, scandita dai versi della hit di Prince Kiss.

Bypassando il contenuto, il film è ben costruito nei suoi snodi narrativi, con tanto di viaggio dell’eroe dal mondo ordinario al mondo straordinario che lo porta a rivedere i suoi comportamenti e, in particolare, la sua abitudine a mentire per mascherare il senso di inadeguatezza di un uomo di poca importanza, quasi invisibile e molto immaturo. Un personaggio che all’inizio è fondamentalmente ignorante e senza aspirazioni (vedi il set up in cui il posto di responsabile della posta gli viene soffiato dall’ultimo arrivato), ma che al termine del suo percorso umano, particolarmente avventuroso, riesce a riscattarsi e a dare un senso alla propria vita e alla propria persona (il pay off finale in ufficio, con il suo ex-responsabile che accompagna nel giro il nuovo addetto alla posta, testimonia il passaggio). La morale inclusa nel film è piuttosto infan-tile, ma universale: per essere credibile e per sentirsi soddisfatti di se stessi bisogna smettere di mentire a sé e agli altri. Limitatamente al proprio obiettivo, I fantastici viaggi di Gulliver è un film riuscito: un film di poche pretese che riesce a offrire allo spettatore sano divertimento, come in una fiaba d’altri tempi.

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