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cultura dell'immagine e della parola

Il prezzo di un Risiko con pedine umane

L’anno è il 2004. Uno studente universitario di Harvard, stereotipo del nerd incapace di qualsivolglia coinvolgimento emotivo nella coppia come nel rapporto tra amici, ha la folgorante intuizione di creare un social network che permetta a tutti gli studenti delle più prestigiose università statunitensi di comunicare tra loro online, tramite un profilo che raccoglie i loro gusti personali, lo stato della loro vita sentimentale e tutti i loro pensieri. Il prodotto uscito dalla mente geniale dell’hacker americano lo conosciamo tutti sotto il nome di Facebook. Il dietro le quinte è un po’ meno noto. Ben Mezrich, nel suo best-seller , ce lo racconta mantenendo il dovuto distacco e attingendo informazioni solo da fonti certe e vicine ai fatti. Quello che ne esce è il ritratto spassionato della costruzione di un impero informatico da parte di un ragazzino all’epoca diciannovenne che, quasi da solo e con grande e mascherata intraprendenza, raccoglie sotto l’egida del copyright “A Mark Zuckergerg Production” milioni di profili (o avatar) di studenti universitari statunitensi. Nato come Facemash (un sito che permette di giudicare le foto delle ragazze dell’ateneo, paragonandole a animali della fattoria) e approdato al quasi definitivo TheFacebook, il nuovo programma porterà fama e denaro al giovane Zuckerberg e un dominio di milioni di amici “virtuali”. Sì, perchè quelli “reali” gli hanno fatto causa, per plagio e per truffa, mentre lui continuava inesorabile la sua ascesa milionaria nella Silicon Valley. Nel libro, Mezrich non disquisisce sulla battaglia legale, preferendo, invece, constatare solo il dato di fatto: Zuckerberg è il più giovane miliardario al mondo, ha raggiunto con perseveranza i suoi obiettivi personali e poco conta per lui se, in compenso, tutti gli danno contro.

A captare le potenzialità di una simile trama, ci ha pensato lo sceneggiatore di West Wing Aaron Sorkin, già collaboratore al libro e professionista nelle storie brillanti e a sfondo legale (vedi Codice d’onore – Rob Reiner, 1992 – da lui sceneggiato). La ciliegina sulla torta l’ha messa il regista David Fincher (Seven, Fight Club, Zodiac, Il curioso caso di Benjamin Button), forse uno dei pochi capaci di rendere audiovisivamente interessanti vicende quasi astratte che, nel caso specifico, ruotano intorno a progetti informatici, idee e costituzioni di società.

Nelle ricostruzioni di Ben Mezrich, Fincher e Sorkin hanno trovato un materiale eccezionalmente dettagliato, ma fondamentalmente frammentario dal punto di vista narrativo. Dare un corpo e un’anima, dare quindi vita a un organismo pienamente funzionante, alle episodiche vicende del romanzo, deve certo essere stata un’impresa assai intrigante per il duo, visti i risultati. Uno degli escamotage utilizzati per legare un capitolo all’altro della storia è stato quello di unirli col collante della procedura legale di patteggiamento intrapresa contro Zuckerberg, quella stessa che Mezrich abbiamo detto, salta a pié pari. Su questo evento Fincher e Sorkin intersecano i flashback relativi alla vita al campus di Harvard prima e nella Silicon Valley poi, a mezzo di un montaggio alternato che tiene il ritmo e permette frequenti ellissi narrative, per altro non avvertite, ma utilissime sul piano funzionale. Il valore aggiunto di Sorkin è quello di creare un dialogo serrato – tipico, del resto, della generazione di internet – ricco di frasi facilmente memorizzabili, accattivante e di forte impatto, con beat verbali tanto brevi quanto semanticamente densi, segno di un lavoro di fino sul copione. Il resto è ottenuto accelerando i tempi del botta e risposta nel film: si dice che, cronometro alla mano, uno dei due professionisti tenesse i tempi mentre l’altro leggeva il più rapidamente possibile lo screenplay, che è bene sottolineare fosse di 169 pagine – tradotte in immagini, quindi, oltre due ore e mezza di film, se girato e montato da registi più prolissi.

Il prodotto cinematografico coglie non solo gli aspetti caratteriali e le idiosincrasie dei protagonisti (vedi i due poli opposti cosituiti da Zuckerberg – impassibile e imperscrutabile nella interpretazione di Jesse Eisenberg, con le sue inseparabili infradito e ciabatte – e il suo alter ego Sean Parker, fondatore di Napster, reso vivido dalla recitazione sciolta di Justin Timberlake, che porta scritto in faccia “il mondo è ai miei piedi”), ma anche tutte le finezze legate al processo di sviluppo di un progetto, a partire dal germe dell’idea, fino alla sua realizzazione sul lato produttivo, legale e amministrativo, ivi inclusi i relativi rovesci della medaglia. Del libro il film mantiene la fondamentale convinzione che essere ricchi porta con sé l’avere molti nemici e che, soprattutto, la rete di rapporti telematici costruita su Facebook non può [img4]in ogni caso andare a sostituire il calore delle relazioni umane vere. Ma del resto, il prezzo della fama è alto e se Zuckerberg si è realizzato professionalmente lo si deve solo al fatto che, grazie certo alla sua intelligenza e lungimiranza imprenditoriale, è sempre riuscito a perseguire i propri obiettivi senza lasciarsi incantare dalle distrazioni di passaggio o da falsi scrupoli morali. La sua battaglia a Risiko l’ha vinta eccome e i suoi “sudditi”, ora, sfiorano una percentuale sul totale della popolazione mondiale che mai altro impero prima di lui ha saputo conquistare. Tant’è che Zuckerberg è appena stato eletto “Person of the Year 2010” dalla rivista statunitense Time, premio conferito alla personalità che, nel bene o nel male, ha maggiormente influito sulla vita di molti, cambiandola.

Miliardari per caso, romanzo di Ben Mezrich, 2009
The Social Network, regia di David Fincher, 2010

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