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Una zuppa di tartaruga scipita

Una zuppa di tartaruga scipita

Da alcuni anni a questa parte, dinanzi allo sconquasso ecologico del pianeta, anche il cinema d’animazione si prodiga in messaggi più perspicui e consistenti dell’antica e generica pietas disneyana nei confronti del creato, spingendosi fino a denunce circostanziate (della cementificazione selvaggia nella Gang del bosco, dello scioglimento dei ghiacciai preistorici come, in fondo, dei nostri, nell’Era glaciale 2).

Con grazia europea, a dieta di qualche effetto digitale ma con un cappotto grafico comunque dignitoso (lo si goda in 3D o in 2), anche Ben Stassen, mettendo i microfoni alla sensibilità maturata in anni di esperienza documentaristica, ci prova, e il racconto di formazione del piccolo Sammy, guidato dall’amore e dalla corrente oceanica verso il suo destino di testuggine adulta, ambisce a costituirsi come un viaggio didattico (per lo spettatore) lungo le aberrazioni inflitte dalla razza umana agli ecosistemi. Antropizzazione scriteriata delle coste, petroliere che vanno a picco, accumuli di rifiuti in alto mare. E le conseguenze pagate da rettili, cetacei, pesci, dalla fauna tutta, noi compresi. Intento meritorio, che non si può che apprezzare. Peccato che l’assetto drammarturgico imposto al film dalla sceneggiatura di Domonic Paris ostacoli il raggiungimento di qualsiasi obiettivo serio. La trama risulta così slabbrata e inconcludente, pur nella sua elementarità, da impedire completamente il coinvolgimento di quella fetta di platea che abbia già superato i dieci anni, mentre la regola aurea del cartone che funzioni è appassionare i grandi e piccini. Sammy, più che dalla corrente, sembra spinto soltanto dalle urgenze di un copione dimostrativo che molte problematiche intende illustrare, ritrovandosi così (Sammy, naturalmente), tappa dopo tappa, invischiato in situazioni che in misura irrilevante sollecitano il suo (e il nostro) ingegno per afferrare una soluzione, servita invece immancabilmente su di un piatto d’argento dal deus ex machina di turno. Il tutto ulteriormente aggravato dai commenti didascalici della voice over del protagonista che, ormai anziano e prossimo a diventare nonno, narra la sua storia.

Passando attraverso le magagne dell’ambiente marino, la ricerca ostinata dell’amore che sente appartenergli, e una galleria di personaggi simpatici ma per nulla geniali, Sammy continua ad apparire lo stesso (anche la sua evoluzione fisica non è connotata con il giusto tocco). E, con la sola eccezione, forse, dell’incursione nel relitto dove ritroverà Shelly, la scena più suggestiva nella commistione di soggettive dinamiche e “scenografie” goticheggianti, non ci consegna momenti memorabili che si abbia voglia di conservare fuori dalla sala.

Curiosità
A prestare la voce a Snow (Neve, in Italia), nella versione originale, è Melanie Griffith.

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