hideout

cultura dell'immagine e della parola

A proposito di autodistruzione e generazioni

A proposito di autodistruzione e generazioni

Lo scontro generazionale sembra essere al centro di questo film che ha le pretese di mascherarsi da commedia grottesca, ma proprio per la sua ambizione a voler appartenere al genere “commedia grottesca” La bellezza del somaro, terzo lungometraggio firmato da Sergio Castellitto, soffoca dentro i codici del genere. Vuole sembrare ma non è. Non solo. Le pretese di genere si sommano a quelle di contenuto che pare vogliano dirigersi verso la direzione dell’affresco moderno della contemporaneità italiana realizzato attraverso lo sguardo filtrato da un gruppo di adulti radical chic in bilico tra fallimento e solitudine. Castellitto si mette davanti e dietro la macchina da presa accompagnato dalla moglie Margaret Mazzantini (autrice del racconto da cui è tratto il film) e costruisce un film ambiguo, a tratti presuntuoso, decisamente e fortemente teatrale, poco divertente.

Nonostante gli sforzi siano tanti, gli attori impegnati e coraggiosi, i paesaggi bucolici, romantici al punto giusto e snob all’inverosimile, la struttura apparentemente funziona: la giovane di famiglia bene s’innamora del vecchio che le suona a tutti di santa ragione mentre la generazione che dovrebbe guidare il paese è distratta da altro che a volte fa rima con se stesso, a volte fa rima con sesso. Da qui i continui riferimenti alla psicologia, all’amore e alle menate da sensazioni positive che portano i personaggi ad incontri-scontri più o meno allucinati o allucinanti. Si parla tanto, si ascolta poco, si grida di più di quanto si pianga, si fumano le canne, ci si vuole poco bene e si mangia allo stesso tavolo anche se non ci si sopporta. Dietro a tutto c’è la morte e il profondo disagio di questa umanità ad affrontare la propria morte (carnale, umana, morale, generazionale). Tutti faticano a fare i conti con la morte che, dai richiami bergmaniani alle follie di uno dei pazienti irrecuperabili della Morante, è onnipresente fino a materializzarsi negli occhi del somaro sovrimpresso a Jannacci nell’attimo in cui Armando sparisce. Ecco qualcosa a cui ancorarsi c’è.

Il resto è una continua ripetizione di intenti, stereotipi, immagini già viste, frasi già sentite, banalità inutili che non aiutano nessuno. Compreso il dialogo (sterile). Lo scontro generazionale, quindi, è solo l’apparenza di un grande niente che a visione conclusa non conduce da nessuna parte, nonostante qualche risata che più che divertire, distrae sommariamente lo spettatore. Citazionismo confuso e etichette gratuite comprese, da Ferreri a Virzì, da Muccino alla nuova neo comedy sofisticata. Castellitto (e la Mazzantini) non sono Woody Allen e il cinema italiano non è solo questo. Per fortuna.

Curiosità
Ha dichiarato Castellitto: «A uno a uno saltano i pezzi del puzzle politically correct. In un mondo di deodoranti e di creme spalmate ovunque, il vecchio è portatore di una verità scomoda come una pernacchia in una conferenza inamidata. E il film è questa pernacchia, una tragicomica frana che inghiotte i simpatici Sinibaldi, coppia giovanilistica e dialogica, emblema di una certa famiglia di oggi, moderna ed illuminata. Basta una piccola eclissi a spegnere la luce della civiltà, del decoro. E anche il lume della ragione si spegne, si regredisce a una primordialità infantile. Tutto diventa scorretto, colpi bassi come in ogni guerra. E in questa guerra da burla, le persone tirano fuori la parte più nascosta di se stesse, gli animi si rivelano, franano le ipocrisie che rivelano le loro mancanze. La bellezza del somaro è quella spontanea dei ragazzi, una bellezza un po’ stolta e sfacciata. Eppure struggente».

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»